Platone, Parmenide (5)
Platone, Parmenide (5)
Mag 05Brano precedente: Platone, Parmenide (4)
«Quindi anche la scienza stabile», disse, «in sé, ciò che è ontologicamente scienza stabile, non sarà forse scienza stabile di quella verità in sé, di ciò che è ontologicamente verità?»
«Assolutamente sì».
«Dunque, a sua volta ciascuna delle scienze stabili, che lo è ontologicamente, sarà forse scienza stabile di ciascuno degli essenti, che ontologicamente è, o no?»
«Sì».
«Invece la scienza stabile presso di noi non sarà forse scienza stabile della verità presso di noi? E poi [134b] non converrà forse che ciascuna scienza stabile che è presso di noi sia scienza stabile di ciascuno degli essenti che sono presso di noi?»
«Di necessità».
«Ma le idee in sé – su ciò sei d’accordo – né le abbiamo né possono essere presso di noi».
«No, infatti».
«Invece i generi in sé, quali sono ciascuno in particolare, son affatto conosciuti dall’idea in sé della scienza stabile, sì?»
«Sì».
«Ecco, idea che noi non abbiamo».
«No, ecco».
«Ecco allora che nessuna delle idee è da noi conosciuta poiché non abbiamo parte della scienza stabile in sé».
«Si vede di no».
«Inconoscibile per noi è allora anche il bello in sé, ciò che lo è ontologicamente, ed il bene [134c] e dunque tutti gli enti che assumiamo come idee in sé essenti».
«C’è il rischio».
«Guarda dunque anche questo punto, ancor più terribile di quello».
«Quale?»
«Allora, dovresti proprio affermare che, se c’è un qualche genere in sé della scienza stabile, esso è molto più esatto della scienza stabile presso di noi, e affermarlo anche per il bello e così per tutti gli altri enti».
«Sì».
«Quindi, se qualcos’altro ha parte della scienza stabile in sé, chi più di Dio affermeresti che ha la più esatta scienza stabile?»
«Di necessità Dio».
[134d] «Ma allora sarà capace Dio di conoscere gli enti presso di noi, avendo scienza stabile in sé?»
«Ecco sì, perché no?»
«Perché», affermò Parmenide, «eravamo d’accordo tra noi, Socrate, che né quelle idee hanno il potere che hanno in relazione agli enti presso di noi né gli enti presso di noi in relazione a quelle, ma ciascuno in sé in relazione a sé».
«Eravamo d’accordo, infatti».
«Quindi, se la più esatta padronanza in sé e la più esatta scienza stabile in sé sono presso il divino, allora né la loro padronanza, quella degli dèi, giammai dominerà noi né la loro scienza stabile [134e] conoscerà noi né nessun’altro degli enti presso di noi, ma similmente neanche noi comandiamo loro col comando che è presso di noi né conosciamo alcunché del divino colla nostra scienza stabile e quelli a loro volta, per lo stesso argomento, né sono nostri padroni né conoscono i fatti umani, pur essendo dèi».
«Ma bada», dichiarò, «che l’argomento non sia troppo stupefacente se si depriva Dio del sapere».
«Comunque, Socrate», affermò, «[135a] tenere le idee ha necessariamente queste conseguenze e pure moltissime altre oltre a queste, se ci sono queste idee degli essenti e si riguarda separatamente ciascuna idea come qualcosa in sé, sicché colui che ascolta è in impasse ed obietta che esse neanche sono e che, se proprio ci sono, è assolutamente necessario che esse siano inconoscibili alla natura umana, e chi argomenta queste dottrine sembra argomentare qualcosa di sensato e, come testé argomentavamo, è prodigiosamente difficile da persuadere. E solo un uomo con buone doti naturali potrà comprendere colla mente che c’è un qualche genere ed un’essenza in sé e per sé di ciascun ente, [135b] ma uno ancor più stupendo lo scoprirà e potrà insegnarlo a un altro che abbia discernito a sufficienza tutto questo».
«Convengo con te», dichiarò Socrate, «Parmenide; ecco, argomenti in toto secondo il mio intendimento».
«Tuttavia», disse Parmenide, «se poi qualcuno, Socrate, proprio non ammetterà che ci sono idee degli essenti, adocchiando tutte le impasse or ora argomentate ed altre simili a queste, né separerà un’idea determinata di ciascun particolare, né avrà ove volgere il pensiero, non ammettendo [135b] che ci sia un’idea sempre identica di ciascuno degli essenti, e così distruggerà in tutto e per tutto la potenza della dialettica. Ebbene, mi sembra tu abbia avuto sentore di tal problema, e molto».
«Dici il vero», confessò.