Platone, Parmenide (3)
Platone, Parmenide (3)
Apr 24Brano precedente: Platone, Parmenide (2)
Pitodoro disse dunque che egli stesso, mentre Socrate svolgeva questi argomenti, credeva che Parmenide e Zenone si sarebbero adirati per ognuno; loro invece avevano la mente totalmente attenta a lui e, guardandosi spesso l’un l’altro, sorridevano ammirando Socrate. Indi, allorché egli posò dal parlare, Parmenide disse: «Socrate, sei così degno d’ammirazione per lo slancio [130b] che ottieni nelle argomentazioni! E dimmi, divideresti così come argomenti, separando, d’un canto, le idee in sé e, d’altro canto, i loro partecipanti? E a te sembra che la somiglianza in sé sia qualcosa separatamente da quella che noi abbiamo, e così l’uno ed i molti e tutto quanto ciò che or ora hai udito da Zenone?»
«A me sì», affermò Socrate.
«Ed anche tali idee», disse Parmenide, «come una qualche idea in sé e per sé del giusto e del bello e del bene e di tutti gli enti di tal specie?»
«Sì», affermò.
[130c] «Dunque è qualcosa l’idea di uomo separatamente da noi e da tutti quelli che noi siamo, è qualcosa un’idea in sé di uomo o di fuoco o di acqua?»
Disse: «Dunque, son stato spesso in impasse, Parmenide, su di esse, in forse se bisognasse parlarne come si fa su quell’altre od altrimenti».
«Ed anche su questi enti, Socrate, che sembrerebbero essere ridicoli, quali capello, pantano e sporco o qualcos’altro di disistimatissimo e banalissimo, sei in impasse se bisogni affermare che anche di ciascuno di loro [130d] c’è un’idea separata, che sia altro da ciò che noi maneggiamo, oppure no?»
«In nessun modo», rispose Socrate. «Invece questi sono così come li vediamo; dunque credere che ci sia qualche idea di essi temo sia troppo assurdo. Comunque qualche volta mi turbò pure l’eventualità che fosse lo stesso per tutti; poi, quando vi sosto, me ne vado fuggendo, temendo di perdermi cadendo in un abisso di chiacchiera; quindi, raggiungendo gli enti rispetto ai quali or ora argomentavano che hanno idee, discuto trattando di loro».
[130e] «Infatti sei ancora giovane», dichiarò Parmenide, «Socrate, e così la filosofia non ti ha ancora afferrato come ti afferrerà, secondo me, quando non disistimerai nessuno di essi; adesso invece rispetti le opinioni degli uomini per la tua età. Dunque, dimmi questo: ti sembra, come affermi, che ci siano delle idee, partecipando delle quali questi altri enti ne trattengono le denominazioni: così, partecipando della somiglianza diventano simili, [131a] della grandezza grandi, della bellezza e della giustizia giusti e belli?»
«Assolutamente sì», affermò Socrate.
«Quindi, ciascun partecipante partecipa dell’intera idea o di una parte? Oppure casomai esiste qualche altra partecipazione all’infuori di queste?»
«E come potrebbe?», disse.
«Quindi ti sembra che l’idea intera sia in ciascuno dei molti, pur essendo una, o come?»
«Ecco sì, che cosa lo vieta, Parmenide?», disse Socrate.
[131b] «Essendo una ed identica, allora è simultaneamente tutt’intera nei molti, che sono separati, e così essa sarebbe separata da sé».
«Non qualora», affermò, «fosse come il giorno che uno ed identico è simultaneamente in molti luoghi e ciò nondimeno esso non è separato da sé, se fosse così, anche ciascuna delle idee sarebbe una, identica simultaneamente in tutti».
«Ecco che suadentemente», dichiarò, «Socrate, fai simultaneamente ubiquo l’unico identico, come se, avvolti molti uomini sotto un velo, affermassi che tutt’intero è uno su molti; o non ritieni di esporre tale argomento?»
[130c] «Forse», rispose.
«Quindi il velo sarebbe tutt’intero su ciascuno o una parte su uno e una parte su un altro?»
«Una parte».
«Allora», affermò, «le idee in sé sono parcellizzabili ed i partecipanti di esse parteciperebbero d’una parte, ed in ciascuno non ci sarebbe più un’idea intera, ma parte di ciascuna».
«Così pare, sì».
«Quindi vorresti, Socrate, affermare che l’idea unitaria per noi in verità si dividerà e sarà ancora una?»
«In nessun modo», disse.
«Ecco, guarda», disse. «Se parcellizzi la grandezza in sé, allora ciascuna delle molte parti grandi [130d] sarà grande mediante una parte di grandezza più piccola della grandezza in sé; non ti sembra forse illogico?»
«Assolutamente sì», confessò.
«Che ne dici, dunque? Ciascun ente che assume una piccola parte dell’uguale avrà qualcosa che, pur essendo minore dell’uguale in sé, farà in modo che questo che ce l’ha sia uguale a qualcos’altro?»
«Impossibile».
«Ma se qualcuno di noi avrà una parte del piccolo, allora il piccolo sarà maggiore di questa giacché essa è parte di esso, e così dunque il piccolo in sé sarà maggiore; invece quello a cui fosse stato aggiunto il sottratto [131e] sarà più piccolo anziché maggiore di prima».
«Questo non potrebbe giammai avvenire», confessò.
«Quindi in che modo», disse, «Socrate, per te gli altri parteciperanno delle idee, non potendo partecipare né per parti né per intero?»
«Per Giove», confessò, «mi sembra non sia in nessun modo lineare determinare tale modo».
«E dunque che dici? Rispetto a questo come ti atteggi?»
«Cioè?»
[132a] «Credo tu creda che ciascuna idea sia una a partire da questo argomento: quando ti sembra che svariati enti siano grandi, osservandoli tutti ti sembra forse che ci sia un’unica idea, la stessa, perciò ritieni che il grande sia uno».
«Dici il vero», affermò.
«Quanto al grande in sé ed agli altri grandi, se li osservi con l’anima tutti allo stesso modo, non apparirà ancora un unico grande mediante cui tutti loro appaiono grandi?»
«Probabile».
«Ma allora comparirà un’altra idea di grandezza, generata accanto alla grandezza in sé ed ai partecipanti di essa, e sopra tutti loro ancora un’altra, [132b] mediante cui loro tutti saranno grandi, e così per te ciascuna delle idee non sarà più una, ma pluralità illimitata».