Platone, Parmenide (21)
Platone, Parmenide (21)
Lug 24Brano precedente: Platone, Parmenide (20)
«Dunque, non va forse esaminato che cosa conviene patiscano gli altri se l’uno è?» «Va esaminato». «Argomentiamo dunque che cosa bisogna patiscano gli altri dall’uno se l’uno è?» «Argomentiamolo». «Ebbene, se per davvero sono altri dall’uno, gli altri non sono l’uno: sennò, ecco, non sarebbero altri dall’uno». [157c] «Rettamente». «Però, ecco, affermiamo che le parti sono parti di quel che sia un intero». «Lo affermiamo, ecco». «Ma è necessario, ecco, che l’intero sia un uno costituito da molti cui parti saranno le parti: bisogna infatti che ognuna delle parti sia parte non di molti, ma di un intero». «Come mai questo?» «Se qualcosa fosse parte di un molteplice [157d] in cui essa fosse, sarebbe ovviamente parte di sé stessa, il che è impossibile, e pure di ognuno degli altri, dal momento che lo è di tutti. Infatti non essendo parte di uno lo sarà di tutti tranne lui, e così non sarà parte di ognuno; non essendo dunque parte di ciascuno, non lo sarà di alcuno dei molti. Dunque, non essendo parte di nessuno, è impossibile che sia qualcosa, o parte o qualsiasi altra cosa, per tutti loro, per nessuno dei quali è alcunché». «Così pare dunque». «Allora la parte non è parte né di molti né di tutti, ma di una sola idea, cioè di un qualcosa che chiamiamo ‘intero’, [157e] divenuto unità perfettamente determinata di tutti; la parte allora sarà parte di quest’ultimo». «Eccome, in tutto e per tutto». «Ora, se gli altri hanno parti, allora partecipano dell’intero e dell’uno». «Assolutamente sì». «Allora è necessario che gli altri dall’uno siano un intero integrato, compiuto, avente parti». «Necessario». «Ebbene, lo stesso argomento, ecco, vale per ciascuna parte: infatti è necessario che anch’essa partecipi dell’uno. [158a] Se infatti ciascuna di esse è parte, ecco che il ‘ciascuna’ significa appunto essere una, riguardata distintamente dalle altre, dunque essente per sé, dal momento che sarà ciascuna. Or dunque, essere uno è affatto impossibile tranne che all’uno in sé». «Impossibile». «Ecco dunque che partecipare dell’uno è necessario sia all’intero sia alla parte: quello, infatti sarà un uno integrato cui parti son le parti; ciascuna parte, invece, quale singola parte dell’intero, sarebbe allora parte dell’intero». [158b] «Così». «I partecipanti dell’uno non parteciperanno forse di esso essendogli diversi?» «E come no?» «Or dunque i diversi dall’uno sarebbero appunto molti: se infatti gli altri dall’uno non fossero né uno né più d’uno, allora non ce ne sarebbe nessuno». «No, infatti».
«Poiché, ecco, sia i partecipanti dell’uno-parte sia quelli dell’uno-intero sono più d’uno, non è di già necessario che questi stessi partecipanti dell’uno siano pluralità illimitata?» «Come?» «Vediamola così. Qualcosa d’altro, allorquando partecipa dell’uno, partecipa di esso non essendo uno né partecipando di esso?» «Dunque, è chiaro». [158c] «Non sono quindi delle pluralità, in cui l’uno non c’è?» «Pluralità, eccome!» «Che dici quindi? Se volessimo col pensiero sottrarre da tali pluralità il minimo di cui siamo capaci, non è necessario che anche quel sottratto sia pluralità e non uno, dal momento che non partecipa dell’uno?» «Necessario». «Quindi, esaminando sempre così la natura in sé e per sé diversa dall’idea, quanto di essa vediamo sempre non sarà pluralità illimitata?» «In tutto e per tutto, eccome!» «Ed ecco che quando ciascuna singola parte diviene parte, [158d] ha già un limite rispetto alle altre e rispetto all’intero, e anche l’intero lo ha rispetto alle parti». «Precisamente, eccome!» «Dunque per gli altri dall’uno consegue che, per essersi accomunati con l’uno e con sé stessi, come sembra, si genera in loro stessi qualcosa di diverso, che dunque procura limite reciproco; invece la natura di essi per sé stessi procura illimitatezza». «Pare». «Così dunque gli altri dall’uno, sia interi sia parte per parte, sono illimitati eppure partecipano del limite». «Assolutamente sì».
[158e] «Quindi non sono anche sia simili sia dissimili sia reciprocamente sia rispetto a sé stessi?» «In che maniera dunque?» «In quanto sono tutti affatto illimitati secondo la loro propria natura, in questo forse sono passibili dell’identico». «Assolutamente sì». «Ed in quanto, ecco, partecipano tutti insieme di limite, anche in questo forse sono passibili dell’identico». «E come no?» «In quanto dunque sono passibili di essere sia limitati sia illimitati, sono passibili di queste passioni, che sono passioni contrarie l’una all’altra». [159a] «Sì». «Dunque, ecco, i contrari sono quanto di più dissimile sia possibile». «Beh, che vuol dire?» «Allora considerando ciascuna delle due passioni essi sarebbero simili sia a sé stessi sia reciprocamente; considerandole, invece, entrambe sono in entrambi i modi contrarissimi e dissimilissimi». «C’è il rischio». «Così, or dunque, gli altri in sé sarebbero sia simili sia dissimili sia a sé sia reciprocamente». «Così». «E dunque non avremo più difficoltà a trovare che gli altri dall’uno sono sia identici sia diversi tra loro, sia in moto sia in quiete, e patiscono tutte le passioni contrarie, poiché parvero passibili di queste passioni». [159b] «Argomenti correttamente».
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