Platone, Parmenide (14)
Platone, Parmenide (14)
Giu 16Brano precedente: Platone, Parmenide (13)
«Inoltre, esso deve, ecco, essere sia identico a sé stesso sia diverso da sé stesso [146b] e, allo stesso modo, essere sia identico agli sia diverso dagli altri, se patisce le precedenti affezioni». «Come?» «Ogni ente, in effetti, ha con ogni altro queste relazioni: è o identico o diverso; oppure, se non è né identico né diverso, allora o è parte di quello con cui ha la relazione, o è un intero in relazione alla parte». «Pare». «Quindi l’uno in sé è forse parte di sé?» «In nessun modo». «Allora non può mai neppure essere come un intero in relazione ad una parte di sé, giacché sarebbe parte in relazione a sé stesso». «Eh no che non può, ecco». [146c] «Ma allora l’uno è diverso dall’uno?» «No, affatto». «Allora non sarà giammai diverso, ecco, da sé stesso». «Ebbene no». «Se quindi esso, in relazione a sé stesso, non è né diverso né intero né parte, non è di già necessario che esso sia identico a sé stesso?» «Necessario». «Che dici dunque? Quel che è altrove rispetto ad un sé stesso che è in sé non è di necessità diverso da sé stesso, perché allora sarà anche altrove?» «Mi sembra di sì». «Così l’uno è parso avere queste proprietà: esso è simultaneamente sia in sé stesso sia in un diverso». «È parso, infatti». «Allora in questa maniera sembra che l’uno sia diverso da sé stesso». «Sembra». [146d] «Che dici quindi? Se qualcosa è diverso da qualcos’altro, non sarà diverso da ciò che è diverso?» «Di necessità».
«Quindi gli enti che non sono uno non sono forse tutti quanti insieme diversi dall’uno e l’uno dai non-uno?» «Come no?» «Ed allora l’uno sarà diverso dagli altri». «Diverso». «Guarda dunque: l’identico in sé ed il diverso in sé non sono forse contrari l’uno all’altro?» «Come no?» «Quindi l’identico sarà mai in grado di essere nel diverso o il diverso nell’identico?» «Non saranno in grado». «Se allora il diverso non sarà mai nell’identico, non c’è nessuno tra gli enti in cui ci sia per un tempo il diverso: [146e] se infatti per un tempo qualsiasi fosse in qualcosa, allora per quel tempo il diverso sarebbe nell’identico. Non è così?» «Così». «Poiché dunque non è mai nell’identico, il diverso non sarà mai in alcuno degli essenti». «Vero». «Allora il diverso non sarà insito né nei non-uno né nell’uno». «Quindi no, ecco». «Allora non sarà mediante il diverso che l’uno sarà diverso dai non-uno né che i non-uno saranno diversi dall’uno». «No, infatti». «E non saranno diversi tra loro neppure mediante sé stessi, ecco, non avendo parte del diverso». [147a] «Come potrebbero, infatti?» «Se dunque non sono diversi né mediante sé stessi né mediate il diverso, allora non rifuggono già totalmente dall’essere diversi tra loro?» «Rifuggono». «Ma i non-uno non hanno parte neppure dell’uno: sennò, ecco, non sarebbero non-uno, ma sarebbero, in qualche maniera, uno». «Vero». «Allora i non-uno non saranno neppure numero: infatti, neppure così sarebbero in tutto e per tutto non-uno, avendo numero». «Eh no, infatti». «Che dici dunque? I non-uno sono forse parti dell’uno? Oppure anche così i non-uno avrebbero parte dell’uno?» «Ne avrebbero parte». «Se allora quello è totalmente uno, [147b] mentre quelli sono totalmente non-uno, l’uno non sarà né parte dei non-uno né intero di essi come parti; i non-uno, poi, non saranno né parti dell’uno né interi per l’uno come parte». «No, ecco». «Ma affermammo che gli enti che non sono né parti né interi né diversi tra loro saranno identici tra loro». «L’affermammo, ecco». «Affermeremo allora che anche l’uno, avendo questa relazione con i non-uno, è identico a loro?» «L’affermeremo». «Allora l’uno – come sembra – è sia diverso dagli altri e da sé stesso, sia identico a loro ed a sé stesso». «Sì, c’è rischio che appaia questa conseguenza dell’argomento».