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Platone, Parmenide (13)

Platone, Parmenide (13)

Giu 12

Brano precedente: Platone, Parmenide (12)

 

«E giacché le parti, ecco, sono parti di un intero, l’uno, secondo l’intero, sarebbe allora delimitato; oppure le parti non son incluse dall’intero?» [145a] «Di necessità». «Ma l’includente sarebbe, ecco, pur sempre un limite». «E come no?» «Allora l’uno essente è in effetti sia uno sia molti, sia intero sia parti, sia delimitato sia illimitato in pluralità». «Pare». «Ed allora, se è delimitato, perciò non ha anche estremi?» «Di necessità». «Che dici dunque? Se fosse un intero, allora non avrebbe anche principio e mezzo e termine? Oppure qualcosa è capace di essere intero senza queste tre determinazioni? Qualora una qualsiasi di esse gli si distanziasse, sarà ancora in grado di essere intero?» «Non sarà in grado». «Dunque, così sembra, [145b] l’uno avrebbe comunque e principio e termine e mezzo». «Li avrebbe comunque». «Ma, ecco, il mezzo non ha forse uguale distanza dagli estremi? Altrimenti, ecco, non sarebbe più mezzo». «Ecco no». «E dunque, come sembra, se fosse tale, allora l’uno avrebbe parte di qualche figura, o rettilinea o circolare o mista di entrambe». «Ecco, allora ne avrebbe parte».

«Quindi, avendosi questo, allora esso non sarà sia in sé stesso sia in altro?» «Come?» «Ciascuna delle parti, in effetti, è nell’intero e nessuna è all’esterno dell’intero». «Così». «Dunque tutte le parti sono incluse dall’intero?» [145c] «Sì». «E l’uno, ecco, è tutte quante le sue parti, cioè né più né meno che tutte». «No, ecco». «Quindi l’uno non è anche l’intero?» «E come no?» «Allora, se a tutte le parti capita di essere nell’intero, e l’uno è sia tutte loro sia l’intero stesso, e tutte loro son incluse dall’intero, allora l’uno sarebbe incluso dall’uno e già così l’uno stesso sarebbe in sé stesso». «Pare». «Tuttavia, ecco che l’intero non è affatto nelle parti, né in tutte né in qualcuna. [145d] Se, infatti, fosse in tutte, di necessità sarebbe anche in una: infatti, non essendo in una qualsiasi, allora non potrebbe affatto essere proprio in tutte; se dunque questa qui è nell’insieme di tutte quante e l’intero non è in quest’unica, come potrà essere ancora insito proprio in tutte loro?» «In nessun modo». «E nemmeno in qualcuna della parti: se infatti l’intero fosse in qualcuna, allora il più sarebbe nel meno, il che è impossibile». «Ecco, impossibile». «Non essendo, dunque, né in più parti né in un’unica parte né in tutte le parti, non è necessario che l’intero sia in qualcosa di diverso oppure in nessun luogo?» [145e] «Necessario». «Quindi, non essendo in nessun luogo, non sarebbe nulla, ma, essendo un intero, poiché non è in sé, non è necessario che sia in altro?» «Assolutamente sì». «Allora l’uno, in quanto intero, è in altro; invece, in quanto gli capita di essere tutte le parti, esso è in sé stesso; e così di necessità l’uno è sia in sé stesso sia in un diverso». «Di necessità».

«Se dunque l’uno ha questa natura, allora non è necessario sia che si muova sia che sia statico?» «In che maniera?» «È affatto statico se esso è in sé stesso: [176a] infatti, essendo nell’uno e non avventurandosi all’esterno di questo, allora sarebbe nello stesso luogo: in sé stesso». «Ecco, è così». «Ecco dunque che di necessità quel che è sempre nello stesso luogo è appunto sempre statico». «Assolutamente sì». «Che dici dunque? Non è necessario che quel che è sempre in un diverso non sia al contrario mai nello stesso luogo, e che, non essendo mai dunque nello stesso luogo, non sia mai statico, e che, non essendo dunque statico, si muova?» «Così». «È necessario allora che l’uno, essendo sempre in sé stesso ed in un diverso, si muova sempre e sia sempre statico». «Pare».


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