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Platone, Parmenide (11)

Platone, Parmenide (11)

Giu 02

Brano precedente: Platone, Parmenide (10)

 

[142b] «Vuoi quindi che riandiamo daccapo dall’inizio all’ipotesi, casomai, ritornandoci sopra, ci appaia qualche alternativa?» «Beh, lo voglio assolutamente». «Quindi, se l’uno è, affermiamo, vanno condivise le conseguenze pertinenti ad esso, quali esse siano; non è così?» «Sì». «Guarda dunque dall’inizio. Se l’uno è, allora è possibile che esso sia pur non avendo parte dell’essere?» «Non è possibile». «Allora anche l’essere dell’uno sarebbe, pur non essendo identico all’uno: altrimenti ecco che quello non sarebbe l’essere di quell’altro, né quello, [142c] l’uno, avrebbe parte di quell’altro, ma sarebbe simile dire ‘uno’ e ‘uno uno’. Ora, però, l’ipotesi da cui determinare che cosa bisogna consegua non è questa (se l’uno è uno), ma questa: se l’uno è; non è così?» «Beh, assolutamente». «Quindi ‘è’ non ha come significato qualcos’altro rispetto a ‘uno’?» «Di necessità». «Quindi, allorquando si dice riassuntivamente che l’uno è, questo che altro sarebbe mai, se non l’argomento che l’uno ha parte dell’essere?» «Sì, assolutamente». «Dunque inferiamo daccapo che cosa consegue se l’uno è. Indaga quindi se non è necessario che questa ipotesi significhi che l’uno è tale da avere parti». [142d] «Come?» «Così: se lo ’è’ si dice dell’uno essente e lo ‘uno’ dell’essere uno, ma l’essere e l’uno non sono lo stesso, ma sono di quello stesso che ipotizzammo (dell’uno essente), allora non è necessario che esso (l’uno essente) sia l’intero e che dunque l’uno e l’essere ne divengano parti?» «Necessario». «Quindi ciascuna di queste parti la diremo soltanto parte, oppure la parte è da dirsi appunto parte dell’intero?» «Dell’intero». «Ed allora ciò che è uno è un intero, e ha parti». «Assolutamente sì». «Che dici quindi? Ciascuna di queste parti dell’uno essente [142e] (l’uno e l’essente) è forse lasciata senza l’altra, cioè l’uno senza la parte essere e l’essente senza la parte uno?» «Non sia mai». «Daccapo allora: anche ciascuna delle parti possiede e l’uno e l’essente, e anche la parte minima vien a esser costituita da due parti, e così, secondo lo stesso argomento, qualunque ente diventi parte possiede sempre e poi sempre queste due parti: infatti l’uno possiede sempre l’essente e l’essente l’uno, sicché è necessario [143a] che, divenendo sempre due, non sia giammai uno». «Beh, in tutto e per tutto». «Quindi così l’uno essente non sarebbe forse pluralità illimitata?» «Si vede di sì».


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