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Platone, Filebo (18)

Platone, Filebo (18)

Nov 12

Brano precedente:  Platone, Filebo (17)

 

SOCRATE  Quindi accetteremo che per noi queste sono – come testé – tre, [44b] o due sole: dolore (male per gli uomini) e l’affrancamento dal dolore che, essendo in sé bene, è appellato ‘piacere’?

PROTARCO  Come mai, dunque, adesso poniamo questo quesito a noi stessi? Ecco, non mi vien in mente.

SOCRATE  Realmente, ecco, non ti viene in mente chi sono i nemici di Filebo, Protarco?

PROTARCO  Dunque chi sono coloro dei quali parli?

SOCRATE  Parlo di quelli reputati bravi in scienze della natura, i quali professano che non ci sono del tutto piaceri.

PROTARCO  Beh, perché?

SOCRATE  [44c] Denominano ‘fughe dai dolori’ tutto quello che gli amici di Filebo denominano ‘piaceri’.

PROTARCO  Quindi ci consigli di fidarci di costoro, o come ci consiglieresti, Socrate?

SOCRATE  No, ma di utilizzarli come indovini, divinanti non con tecnica ma con una qualche ripulsa di natura non ignobile, in quanto odiano affatto la potenza del piacere e non lo ritengono per nulla sano, sicché ritengono che proprio quello che di esso è seducente sia incantamento, non piacere. [44d] Quindi potresti utilizzare loro, esaminando anche le altre loro repulsioni; dopo di questo, dunque, saprai quali, ecco, mi sembra siano piaceri veri, per sottoporre a giudizio la potenza di esso esaminando a partire da entrambi gli argomenti.

PROTARCO  Argomenti rettamente.

SOCRATE  Inseguiamoli dunque, come alleati, sulla traccia della loro ripulsa. Credo, ecco, che essi argomentino qualcosa di tal sorta, iniziando da un punto in alto, cioè: se volessimo vedere la natura di qualunque idea, [44e] come quella del duro, allora la concepiremmo meglio osservando gli enti più duri o quelli nella relazione più tenue con la durezza? Dunque tu devi, Protarco, come a me, rispondere anche a questi repulsori.

PROTARCO  Beh, assolutamente, e dico loro che la concepiremmo meglio in relazione ai primi in magnitudine.

SOCRATE  Quindi, anche se volessimo vedere quale natura mai abbia il genere del piacere, andrebbero osservati non i piaceri più tenui, [45a] ma quelli giudicati più acuti e più forti.

PROTARCO  Ognuno concorderebbe con te sugli argomenti di adesso.

SOCRATE  Beh, allora quelli tra i piaceri che sono, ecco, sottomano e massimi – argomentiamo spesso ciò – sono quelli del corpo?

PROTARCO  Ecco, come no?

SOCRATE  Quindi, sono e divengono maggiori per coloro che versano nelle malattie o per i sani? Stiamo però attenti a non inciampare in qualche maniera rispondendo impetuosamente. Forse infatti [45b] affermeremmo: «Per i sani».

PROTARCO  Verosimilmente, ecco.

SOCRATE  Perché, dunque? Tra i piaceri, non son superiori quelli che siano preceduti anche da desideri grandissimi?

PROTARCO  Beh, questo è vero.

SOCRATE  Ma i febbricitanti e coloro che versano in tali malattie non hanno più sete e più freddo e non sogliono patire di più tutte quante le deficienze del corpo, non divengon più coscienti della mancanza e, una volta soddisfatti, non hanno piaceri maggiori? O professeremo che questo non è vero?

PROTARCO  Beh, quanto detto adesso pare assolutamente vero.

SOCRATE  [45c] Che dici, quindi? Parremmo argomentare correttamente qualora dicessimo che, se qualcuno vuole vedere i piaceri massimi, deve andare ad esaminarli non nella salute ma nella malattia? Guarda però di ritenere non che io intenda chiederti se i seriamente malati godono più dei sani, ma che io cerco quale sia la magnitudine del piacere, e dove mai si generi ciascuna volta il livello più forte di tale magnitudine. Si deve infatti cogliere, diciamo, quale natura abbia e quale argomentano sia coloro che professano che esso assolutamente non è.

PROTARCO  [45d] Ma seguo abbastanza il tuo argomento.

SOCRATE  Presto, Protarco, lo indicherai non meno di adesso. Rispondi, ecco: scorgi piaceri maggiori – non dico più numerosi, ma superiori nella forza e nell’intensità – nella tracotanza o nella vita temperante? Dillo prestando attenzione.

PROTARCO  Ma ho in mente ciò di cui parli, e scorgo la grande differenza. Infatti i temperanti li [45e] trattiene ciascuna volta anche la massima proverbiale, quella che raccomanda «niente di troppo», alla quale si affidano; dall’altro lato invece il piacere forte, tenendo completamente sino alla follia gl’intemperanti ed i tracotanti, opera per il loro discredito.

SOCRATE  Bene; ed ecco che, se le cose stanno così, è chiaro che i piaceri massimi, ma anche i dolori massimi, si generano in un qualche cattivo stato dell’anima e del corpo, ma non nella virtù.

PROTARCO  Beh, assolutamente.

 


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