Platone, Fedone (6)
Platone, Fedone (6)
Set 05Brano precedente: Platone, Fedone (5)
«Quindi non è forse prova sufficiente per te», disse, «questa di un uomo che veda soffrire quando sta per morire, che non era [68c] filosofo ma amico del corpo? A costui succede dunque senz’altro di esser anche amante delle ricchezze e amante degli onori, dell’una o dell’altra cosa o di entrambe».
«La cosa sta assolutamente così, come dici», disse.
«Quindi», disse, «Simmia, anche quel che denominiamo ‘coraggio’ non s’attaglia forse soprattutto a coloro che han questa disposizione?»
«In tutto e per tutto», disse.
«E anche la temperanza, anche quella che i più denominano ‘temperanza’, il non cadere sotto l’impeto dei desideri ma tenerli in poco conto e in regola, non s’attaglia forse solo a coloro che fanno pochissimo conto del corpo e vivono in filosofia?»
[68d] «Necessariamente», disse.
«Se infatti vuoi», disse poi lui, «proprio riflettere sul coraggio e la temperanza degli altri, ti sembrerà che siano assurdi».
«E come, Socrate?»
«Hai visto», disse poi lui, «che tutti gli altri ritengono la morte uno dei grandi mali?»
«Ma sì!», disse.
«Ebbene, i coraggiosi tra loro non si sottomettono alla morte per paura di mali maggiori, qualora le si sottomettano?»
«È così».
«Allora tutti, tranne i filosofi, sono coraggiosi perché sono vili e per timore; eppure è proprio illogico che uno sia coraggioso per timore e viltà».
[68e] «Assolutamente»
«E che dire di quelli fra loro che si regolano? Non subiscono proprio questa passione: non sono temperanti per una certa sfrenatezza? Eppure diciamo che è proprio impossibile, ma, simultaneamente, accade loro di subire una simile passione riguardo a questa temperanza a buon mercato: paventando infatti di esser privati di alcuni piaceri che desiderano, si astengono da altri, essendo dominati da quelli. Eppure chiamano ‘sfrenatezza’ proprio [69a] l’essere dominati dai piaceri, ma accade loro simultaneamente di essere dominati da dei piaceri e dominare degli altri piaceri. Ma questo è somigliante a ciò che or ora si diceva: in qualche modo essi sono temperanti per sfrenatezza».
«Si vede di sì».
«Beato Simmia, che non sia, ecco, corretto, nei confronti della virtù, questo cambio: scambiarsi piaceri per piaceri, dolori per dolori, paura per paura, più o meno come monete, e non sia quella sola la moneta corretta, innanzi a cui tutte queste cose devono essere scambiate, la saggezza, [69b] e ciò che si compra con questa sia nell’essenza coraggio e temperanza e giustizia e insomma vera virtù congiunta a saggezza sia che siano presenti sia che siano assenti piaceri e paure e tutte le altre di tali cose? Ma, separatele dalla saggezza e scambiatele le une con le altre, che tale virtù non sia una prospettiva vana, servile nell’essenza e non abbia nulla di sano e nulla di vero? Ciò che è vero nell’essenza che sia, invece, [69c] una qualche purificazione da tutte le cose di tal fatta, e così la temperanza e la giustizia e il coraggio, e la stessa saggezza che non sia una qualche purificazione? E coloro che hanno costituito le iniziazioni non rischiano affatto di esser presi per sciocchi da noi; è vero invece che da tempo dicono in enigmi che chi giungesse all’Averno senza aver assistito ai misteri ed essere iniziato giacerà nel fango; chi, invece, giungerà colà purificato ed iniziato dimorerà con gli dei. Ed infatti, dicono i preposti all’iniziazione, sono [69d] “molti i portatori di ferule, ma pochi i Bacchi”; questi ultimi sono, secondo la mia dottrina, coloro che hanno rettamente filosofato, e per diventare dei loro anch’io, per quel che ho potuto, non tralasciai nulla nella vita, ma mi ci son profuso in ogni modo. Se, poi, mi ci son profuso rettamente e che compimmo, colà giunti lo vedremo chiaramente, se Dio voglia, tra poco, come mi sembra. Così quindi io», disse, «Simmia e Cebete, mi difendo, siccome, a ragion veduta, lasciando voi e i padroni di qui non [69e] porto cruccio e non soffro, ritenendo che anche lì non meno che qui troverò buoni padroni e compagni; se dunque in questa difesa sono più persuasivo che in quella con i giudici ateniesi, può star bene».
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