Platone, Fedone (22)
Platone, Fedone (22)
Nov 28Brano precedente: Platone, Fedone (21)
«Ma, avendo una volta udito qualcuno [97c] che leggeva da un libro ‒ così diceva ‒ di Anassagora e diceva che allora c’è un intelletto che coordina ed è causa esplicativa di tutti gli enti, ebbene questa causa esplicativa mi piaceva e mi sembrava in qualche modo stesse bene che ci fosse una causa esplicativa di tutti gli enti e ritenevo che, se ciò fosse stato così, allora sì che l’intelletto ordinante avrebbe ordinato tutti gli enti e avrebbe posto ciascuno nel modo migliore ottenibile; ritenevo quindi che, se qualcuno avesse voluto trovare la causa esplicativa per ciascuno (come si genera o si distrugge o è), avrebbe dovuto trovare questo riguardo ad esso: qual è per esso il modo migliore o di essere o [97d] di patire o fare qualunque cosa; ritenevo poi, a partire da questo argomento, che all’uomo non convenisse esaminare null’altro ‒ sia su se stesso sia sugli altri enti ‒ se non l’ottimo ed il meglio e che dunque fosse necessario che conoscesse l’idea anche del peggio: la conoscenza stabile di essi è infatti la medesima. Pensando dunque a questi argomenti, soavemente credevo di aver trovato un maestro della causa esplicativa degli enti conforme alla mia intuizione: Anassagora. E credevo che mi avrebbe detto, in primis, se la terra è piatta o [97e] rotonda e, dopo avermelo detto, avrebbe dissertato sulla causa esplicativa e sulla necessità dell’opzione scelta argomentando il meglio, cioè perché è meglio che essa sia tale; e se mi avesse detto che essa è in mezzo, avrebbe dissertato sul fatto che è meglio che essa sia in mezzo; e se mi [98a] avesse spiegato questo, mi sarei preparato a non agognare alcun’altra specie di causa. E dunque mi preparavo a informarmi allo stesso modo anche, riguardo al sole, alla luna, alle altre stelle, riguardo ai loro rapporti di velocità, alle loro torsioni e alle altre affezioni che patiscono, su come per ciascuno di volta in volta il meglio sia che faccia quello che fa e che patisca ciò che patisce. Non avrei mai creduto, ecco, che costui, pur affermando che questi enti sono stati ordinati da un intelletto, offrisse qualche causa esplicativa per loro alternativa al fatto che il meglio [98b] è che essi stiano così come stanno; quindi credevo che, dando questa causa a ciascuno di loro e a tutti in comune, avrebbe dissertato esplicitando sul meglio per ciascuno e sul bene comune per tutti; neppure per una grande somma avrei dato via queste speranze, ma, presi i libri con totale baldanza, li leggevo quanto più velocemente ero capace in modo da aver al più presto idea del meglio e del peggio».
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