Platone, Fedone (17)
Platone, Fedone (17)
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«Ma prima stiam bene attenti a non patire un guaio».
«Che guaio è questo?», dissi poi io.
[89d] «Che non diventiamo», disse poi lui, «misologi (odiatori degli argomenti), così come si diventa misantropi (odiatori degli uomini), siccome non c’è», disse, «alcun male che si possa patire peggiore di questo: odiare gli argomenti. Ma la misologia si genera allo stesso modo della misantropia. E infatti la misantropia è indossata quando ci si è assai fidati senza perizia di qualcuno e lo si è ritenuto una persona del tutto veritiera, sana ed affidabile, per poi trovarla poco dopo penosa, infida ed altro ancora; e qualora uno patisca più volte questo e soprattutto da coloro che erano ritenuti [89e] vicinissimi e amicissimi, si finisce dunque, a causa delle frequenti cantonate, per odiarle tutte e ritenere non ci sia del tutto nulla di sano in nessuna. O tu non hai sentore che ciò avvenga così?»
«Così sì, assolutamente», dissi poi io.
«Quindi», disse poi lui, «non è forse brutto questo, e non è forse chiaro che costui pon mano a trattare con gli uomini senza perizia verso le cose umane? Se infatti li trattasse con perizia, [90a] valuterebbe la contingenza per quel che è: di buoni e malvagi ce ne sono affatto pochi (sia degli uni sia degli altri); i più, invece, sono mediocri»
«Come dici?», dissi io.
«È come», disse poi lui, «per gli enti affatto piccoli e quelli affatto grandi: credi che ci sia qualcosa di più raro da scovare che un uomo o un cane o qualsiasi altro ente affatto grandissimo o affatto piccolissimo? O anche affatto velocissimo o lentissimo o bruttissimo o bellissimo o bianchissimo o nerissimo? O non hai sentore che, mentre gli apici di tali estremi tutti sono rari e pochi, i mediocri sono abbondanti e di più?»
«Assolutamente sì», dissi poi io.
[90b] «Quindi non credi forse», disse, «che, se si facesse una gara di malvagità, assolutamente in pochi anche qui comparirebbero tra i primi?»
«Si vede proprio di sì», dissi poi io.
«Ecco, si vede di sì», disse. «Peraltro non è in ciò che gli argomenti son simili agli uomini ‒ ma io or ora ho proseguito ove conducevi ‒ ma in questo: nella misura in cui qualcuno che non possiede la tecnica argomentativa confida che qualche argomento sia vero e in seguito, poco dopo, gli sembra sia falso, e talvolta lo è, talvolta invece no, e daccapo è dell’altro parere e poi dell’altro ancora ‒ e dunque… [90c] hai visto che soprattutto quelli che si divertono con gli argomenti e i controargomenti al termine credono di essere diventati sapientissimi e i soli ad aver colto che nulla di nessuna delle cose e di nessuno degli argomenti è sano e solido, ma che tutti gli enti, come nell’Euripo, sono sconvolti su e giù e non rimangono in nessun luogo per nessun tempo».
«Bene», dissi io, «dici totalmente il vero».
«Quindi, Fedone», disse, «non sarebbe forse deplorevolmente patetica l’eventualità che, nonostante ci sia qualche argomento vero e solido e passibile [90d] di esser colto, poi, per l’ingenerarsi di qualche altro argomento tale che talora sembri essere vero e talora no, uno non ne desse la responsabilità a se stesso né alla propria imperizia, ma finisse, satollo d’angoscia, per respingere da sé la responsabilità oggettivandola negli argomenti e ormai dipanasse sino al termine la restante vita odiando e vituperando gli argomenti e si privasse dunque della verità e della conoscenza stabile degli enti?»
«Per Giove», dissi poi io, «sarebbe deplorevole, eccome».
«Beh, allora in primis», disse, «stiamoci bene attenti e [90e] mettiamoci in testa non che ci sia il rischio che nessuno degli argomenti sia sano, ma piuttosto che siamo noi ad avere una così cattiva salute ma anche che bisogna esser virili e aspirare ad aver salute: tu e gli altri per tutta la vita che avete davanti, io invece [91a] per questa stessa morte, siccome anch’io, nel momento presente, rispetto a questo stesso problema, rischio di avere un atteggiamento non da filosofo ma da filonico (amante della vittoria), come coloro che sono del tutto immaturi. Difatti essi, quando disputano su qualcosa, non hanno a cuore ove sia la soluzione argomentabile dei problemi, ma aspirano a questo: a indottrinare i presenti con le loro tesi. E a me sembra che io, nel momento presente, sia diverso da loro solo in questo, ecco: non aspirerò a far sembrare vere ai presenti le dottrine che io argomento ‒ sennò sarebbe perfetto! ‒ ma a far sembrare soprattutto a me stesso che [91b] si abbia questo. Calcolo infatti, caro compare ‒ osserva l’esito: ci ho preso in pieno? ‒ che se per caso le dottrine che argomento fossero vere, si ha dunque del bene a fidarsene; se invece non c’è niente per il morente, allora cionondimeno, in questo stesso tempo precedente la morte, non sarò un afflitto indisponente per i presenti; però questa mia ignoranza non è distante dal temine ‒ sarebbe un male, ecco ‒ ma tra poco scomparirà. Dunque preparato così», disse, «Simmia e Cebete, mi occupo dell’argomento; mentre voi, se vi fidate di me [91c], accorandovi poco per Socrate e molto di più per la verità, qualora vi sembri che io dica il vero, ditevi d’accordo, ma sennò tendete controargomenti, bene attenti che io, sotto l’effetto della profusione d’animo, non inganni me stesso e insieme voi, che non me ne vada come un’ape lasciando il pungiglione conficcato».
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