Platone, Fedone (11)
Platone, Fedone (11)
Set 30Brano precedente: Platone, Fedone (10)
«Quindi», disse poi lui: Socrate, «non dobbiamo forse rivolgere a noi stessi una tal domanda?: a quale ente s’addice patire questa passione, il disperdersi, (cioè per quale ente c’è da temere che patisca ciò) e a quale ente non s’addice? E dopo questo c’è da esaminare quale dei due è l’anima, e da questo ingagliardirsi o temere per la nostra anima».
«Dici il vero», disse.
[78c] «Or dunque, all’ente che è stato composto o è composto per natura non s’addice forse patire questo: scomporsi allo stesso modo in cui fu composto? Se invece si dà il caso che qualcosa sia incomposto, a questo solo non s’addice forse non patire ciò, se mai a cosa alcuna?»
«Mi sembra che le cose stiano così», disse Cebete.
«Quindi non è forse evidente che gli enti incomposti sono precipuamente quelli che si mantengono sempre con continuità negli stessi stati e allo stesso modo e che i composti sono quelli che invece ogni volta stanno altrimenti e non si mantengono giammai con continuità negli stessi stati?»
«A me pare sia così».
«Veniamo dunque», disse, «agli argomenti di cui ci si occupava nel precedente [78d] discorso. Quell’essenza del cui essere diamo ragione sia domandando sia rispondendo si mantiene sempre allo stesso modo in continuità negli stessi stati o sta ogni volta altrimenti? L’eguale in sé, il bello in sé, ciascun ente che è in sé, uniforme in sé e per sé, l’essente, può mai esser coinvolto nella trasmutazione, in una qualsiasi? Oppure ciascuno degli enti che sono in sé, essendo uniforme in sé e per sé, si mantiene sempre allo stesso modo in continuità negli stessi stati e non è mai coinvolto per nessuna via in nessun modo in alterazione alcuna?»
«È necessario», disse Cebete, «che si mantenga continuamente allo stesso modo negli stessi stati, Socrate».
«E che dire dunque dei molti enti belli, come persone o cavalli o [78e] vesti o qualunque altro di tali enti, gli eguali o i belli o tutti quanti gli omonimi di quelli? Si mantengono forse continuamente negli stessi stati o, tutto il contrario di quelli, non si mantengono in nessun modo continuamente negli stessi stati, per dirlo in una parola, né rispetto a se stessi né gli uni rispetto agli altri?»
«Anche questo è così», disse Cebete, «non si mantengono mai allo stesso modo».
[79a] «Ebbene, questi puoi toccarli e vederli e averne sensazione con gli altri sensi, ma quelli che si mantengono continuamente negli stessi stati non c’è forse modo di coglierli se non col ragionamento della mente discorsiva giacché tali enti sono invisibili e non guardabili?»
«Dici il vero in tutto e per tutto», disse.
«Vuoi quindi che poniamo», disse, «due specie degli enti, l’una visibile, l’altra invisibile?»
«Poniamole», disse.
«Poniamo anche che, mentre l’invisibile si mantiene sempre continuamente negli stessi stati, il visibile non è mai continuamente negli stessi stati?»
«Poniamo anche questo», disse.
[79b] «Forza dunque», disse poi lui, «che altro c’è in noi stessi oltre al corpo da un lato e l’anima dall’altro lato?»
«Null’altro», disse.
«Quindi, a quale delle due specie diciamo sia più simile e più congeniale il corpo?»
«Questo è proprio chiaro a tutti: al visibile», disse.
«Che dire dunque dell’anima? Visibile o invisibile?»
«Non è affatto visibile da parte degli uomini, Socrate», disse.
«Ma noi riferivamo ‘ciò che è visibile’ e ‘ciò che non è visibile’ appunto alla natura degli uomini; o credi siano riferibili a qualche altra natura?»
«A quella degli uomini».
«Quindi, che diciamo dell’anima, che è visibile o che è invisibile?»
«Che non è visibile».
«È invisibile allora?»
«Sì».
«Allora l’anima è più simile del corpo all’invisibile, il corpo invece è più simile al visibile».
[79c] «È totalmente necessario, Socrate».
«E non dicevamo forse da un po’ anche questo: che l’anima, quando adopera il corpo per indagare qualcosa o mediante il vedere o mediante l’udire o con qualche altra sensazione ‒ ecco cos’è indagare qualcosa mediante il corpo: indagarlo mediante sensazione ‒, allora è trascinata dal corpo verso gli enti che non si mantengono mai negli stessi stati ed essa stessa vaga e si turba ed è sconvolta come ebbra, tal quale agli enti cui si adatta?»
«Assolutamente sì».
[79d] «Quando invece essa indaga in sé e per sé, è lì che s’avvia verso ciò che è puro ed eterno ed immortale e si mantiene allo stesso modo e, siccome gli è congenere, sempre con quello si genera, allorquando sia in sé e per sé e si trattenga in sé, e posa dal vagare e si mantiene sempre negli stessi stati e allo stesso modo intorno a quegli enti, tale e quale agli enti cui si adatta; e questa sua passione è chiamata ‘intelligenza’».
«Parli in tutto e per tutto», disse, «con bellezza e verità, Socrate».
«E quindi, partendo sia da ciò che è stato argomentato in precedenza sia da [79e] ciò che è argomentato ora, a quale delle due specie ti sembra che l’anima sia più simile e più congenere?»
«Mi sembra che chiunque», disse poi lui, «converrebbe, Socrate, per il percorso fatto, anche il più mentecatto, che l’anima è in tutto e per tutto simile più a ciò che si mantiene sempre allo stesso modo che a ciò che non lo fa».
«E che dire dunque del corpo?»
«Che è più simile all’altra specie».
«Guarda dunque anche a questo punto: qualora anima e [80a] corpo siano insieme, la natura dispone che l’uno serva e sia sotto comando e l’altra comandi e domini; perciò, quale dei due ti sembra sia simile al divino e quale al mortale? Ovvero: non ti sembra che al divino sia connaturata la qualità di comandare e signoreggiare e al mortale quella di esser sotto comando e servire?»
«A me sì».
«Quindi, a quale dei due l’anima somiglia?»
«È chiaro dunque, Socrate, che l’anima somiglia al divino e il corpo al mortale».
«Indaga dunque», disse, «Cebete, se da quanto è stato [80b] da noi detto consegue ciò: al divino, all’immortale, all’intelligibile, all’uniforme, all’indissolubile, a ciò che si mantiene in se stesso sempre allo stesso modo negli stessi stati è somigliantissima l’anima; all’umano, al mortale, al multiforme, all’inintelligibile, al dissolubile, a ciò che non si mantiene mai in sé stesso negli stessi stati è invece somigliantissimo il corpo. Contro questi argomenti ne abbiamo qualche altro secondo cui le cose non stanno così, caro Cebete?»
«Non ne abbiamo».
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