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Platone, Apologia di Socrate (9)

Platone, Apologia di Socrate (9)

Ott 08

 

 

Brano precedente: Platone, Apologia di Socrate (8)

 

Forse potrebbe sembrare strano, dunque, che io privatamente consigli queste cose andando in giro e mi dia molto da fare, mentre in pubblico non osi salire in tribuna dinnanzi al vostro popolo per consigliare la città. La causa di questo, dunque, è ciò che voi mi avete sentito dire molte volte in molti luoghi, cioè che in me [31d] si genera qualcosa di divino e demonico, il che anche Meleto ha scritto, beffandosene, nell’accusa. Questo dunque, in me, è iniziato sin da bambino, una qualche voce che, quando si genera, sempre mi distoglie da quello che sto per fare, mentre non mi promuove mai. È questo ciò che s’oppone a che io faccia politica, e mi sembra, ecco, che faccia benissimo ad opporsi: ben sapete infatti, o uomini d’Atene, che se io da tempo avessi messo mano a fare attività politica, da tempo allora sarei perito ed allora non [31e] sarei stato utile né a voi né a me stesso. E non arrabbiatevi con me se dico il vero: tra gli uomini, infatti, non c’è alcuno che si salverebbe opponendosi genuinamente o a voi o ad un’altra moltitudine o troncando [32a] il generarsi di molte ingiustizie ed illeciti nella città, ma è necessario che colui che realmente si batte per il giusto, se intende salvarsi anche per poco tempo, viva in privato e non si dia alla cosa pubblica.

Ecco dunque, io vi presenterò grandi prove di questo, non parole, ma ciò che voi onorate: fatti. Sentite dunque quel che mi è avvenuto, affinché vediate che non m’arrenderei a nessuno contro il giusto temendo la morte, non arrendendomi dunque simultaneamente perirei pure. Vi dirò dunque cose pesanti e da tribunale, vere però. Io infatti, o uomini d’Atene, non [32b] ho mai esercitato alcun’altra carica nella città, però son stato consigliere; e toccò alla nostra tribù Antiochide esercitare la pritania (1) quando voi deliberaste che i dieci strateghi che non avevano raccolto quelli della battaglia navale (2) fossero giudicati tutti assieme: contro la legge, come nel tempo posteriore sembrò a tutti voi. Allora io, solo tra i pritani, m’opposi a voi perché non faceste niente contro le leggi e votai contro; e gli oratori erano pronti ad inquisirmi e ad arrestarmi, e voi incitavate ed urlavate, eppure [32c] io pensai di dover rischiare dalla parte della legge e del giusto piuttosto che, temendo prigionia o morte, venire dalla parte vostra, mentre deliberavate disposizioni non giuste. E questo è avvenuto mentre la città era ancora democratica; dunque, quando si generò l’oligarchia, i Trenta, una volta convocatomi come quinto alla Tolo (3), ordinarono di condurre da Salamina Leonte di Salamina per mandarlo a morte, un ordine quale molti che quelli impartivano a molti altri, volendo implicare nelle responsabilità quante più persone possibile. Allora io, [32d] non a parole ma coi fatti, dimostrai ancora che a me della morte non importa, se non è troppo rozzo a dirsi, neppure una quisquiglia, invece il non fare niente d’ingiusto e d’empio, questo invece m’importa assolutamente. Quel regime infatti non mi scosse, pur essendo così violento, tanto da farmi compiere qualcosa d’ingiusto, ma, quando uscimmo dalla Tolo, mentre quei quattro s’avviarono a Salamina e condussero qui Leonte, io m’avviai verso casa. E forse per questo sarei morto, se quel regime non fosse stato sciolto alla svelta. [32e] E di questo per voi ci saranno molti testimoni.

 

Note

(1) Per ciascun decimo di un anno il Consiglio dei cinquecento era presieduto da cinquanta pritani di una delle dieci tribù in cui era diviso il territorio.

(2) Dopo la pur vittoriosa battaglia delle Arginuse del 406, a causa di una tempesta gli strateghi non avevano recuperato i caduti ed i superstiti.

(3) Sede del governo dei Trenta Tiranni.

 

Brano seguente: Platone, Apologia di Socrate (10)

 

 


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