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Platone, Apologia di Socrate (5)

Platone, Apologia di Socrate (5)

Set 10

 

 

Brano precedente: Platone, Apologia di Socrate (4)

 

Per quanto riguarda quindi le accuse delle quali mi hanno accusato i primi accusatori, sia sufficiente questa difesa di fronte a voi; dunque, dopo di questo, proverò a difendermi da Meleto, quel galantuomo e patriota, come professa, e dagli accusatori posteriori. Un’altra volta ecco dunque, siccome loro sono accusatori diversi, prendiamo anche la loro accusa giurata. Il contenuto, dunque, è all’incirca così: Socrate ‒ afferma ‒ delinque corrompendo i giovani e [24c] non credendo negli dèi nei quali la città crede, ma in divinità nuove. Questa, or dunque, è l’accusa; di quest’accusa, dunque, esamineremo ciascuna unità costituente.

Afferma, ecco dunque, che io delinquo corrompendo i giovani. Ecco, io invece, o uomini d’Atene, affermo che è Meleto a delinquere, giacché scherza su cose serie, trascinando persone in tribunale con faciloneria, fingendo di preoccuparsi seriamente e d’affannarsi per cose delle quali lui non s’è mai curato per nulla: cercherò di dimostrare anche a voi che le cose stanno così.

«E dimmi orbene, Meleto: [24d] tieni più in conto di qualsiasi altra cosa che i giovani possano essere quanto migliori possibile?»

«Io sì».

«Avanti dunque, allora di’ loro: chi li rende migliori? Chiaro, ecco, che lo sai, infatti te ne curi. Ecco che, avendo trovato il corruttore, come affermi, mi trascini da questi qui e m’accusi; avanti dunque, di’ e palesa loro chi è colui che li rende migliori. Vedi, o Meleto, che taci e non hai nulla da dire? Toh, non ti sembra sia vergognoso ed una prova sufficiente di ciò che io appunto argomento, cioè che non te ne sei mai curato? Ma di’, galantuomo, chi li rende migliori?»

«Le leggi».

[24e] «Ma non ti ho chiesto questo, o illustre, ma qual è l’uomo il quale in primis conosce proprio questo, le leggi?»

«Costoro, o Socrate, i giudici».

«Come dici, o Meleto? Costoro sono qualificati per educare i giovani e renderli migliori?»

«Moltissimo».

«Tutti quanti, oppure alcuni di loro sì, altri no?»

«Tutti quanti».

«Ecco, argomenti bene, per Era, e che grande abbondanza di uomini utili! Che dici, dunque? Questi ascoltatori li rendono migliori [25a] o no?»

«Anche questi».

«Che dici dunque dei consiglieri [1]?»

«Anche i consiglieri».

«Ma allora, o Meleto, non saranno mica quelli dell’assemblea [2], gli ecclesiasti, a corrompere i giovani? O anche tutti quanti loro li rendono migliori?»

«Anche loro».

«Tutti allora ‒ come sembra ‒ gli Ateniesi li rendono belli e buoni tranne me, dunque solo io li corrompo. Argomenti questo?»

«Assolutamente, è questo che argomento».

«Mi hai condannato a una grande sventura, ecco. E rispondimi: ti sembra sia così anche per i cavalli? [25b] Che a renderli migliori siano tutti gli uomini, a corromperli, invece, uno solo? O è tutto il contrario di questo: chi è qualificato per renderli migliori è uno solo o assai pochi (gli esperti di cavalli), mentre i più, se han a che fare con i cavalli e li usano, li rovinano? Non è così, o Meleto, per quanto riguarda sia i cavalli sia tutti quanti gli altri animali? È assolutamente così, sia che tu ed Anito non lo professiate, sia che lo professiate; ecco, sarebbe una bella fortuna per i giovani se uno solo li corrompesse, mentre gli altri [25c] giovassero loro. Ma ecco, o Meleto, hai dimostrato a sufficienza che non hai mai avuto a cuore i giovani, e fai apparire luminosamente la tua incuria, perché non ti sei curato di nulla di ciò per cui mi trascini in tribunale. Dunque dicci ancora, per Giove, Meleto, se è meglio abitare tra cittadini buoni oppure malvagi? O caro, rispondi: ecco, non ti chiedo nulla di arduo. I malvagi non fanno del male a coloro che sono di volta in volta prossimi a loro, i buoni invece del bene?»

«Assolutamente sì».

[25d] «C’è quindi qualcuno che vuole esser danneggiato da coloro che lo frequentano piuttosto che trarne giovamento? Rispondi, o galantuomo: ecco, anche la legge ordina di rispondere. C’è qualcuno che vuole esser danneggiato?»

«No, affatto».

«Forza dunque, mi trascini qui siccome corrompo i giovani e li rendo più malvagi volontariamente oppure involontariamente?»

«Volontariamente, per me, ecco».

«Che dunque, o Meleto? Tu, che sei talmente giovane, sei tanto più sapiente di me, che sono talmente vecchio, da aver contezza che i malvagi fanno sempre qualcosa di male a quelli [25e] loro prossimi, i buoni invece del bene, mentre io son giunto a tal punto d’ignoranza che ignoro anche questo, cioè che se renderò malvagio qualcuno di coloro che mi frequentano, rischierò di ricevere qualche male da lui, a tal punto d’ignoranza che farò questo male a costui volontariamente, come affermi tu? Su questo tu non mi persuadi, o Meleto, né credo persuada alcun altro uomo; ma o non corrompo [26a] o, se corrompo, corrompo involontariamente, sicché tu, ecco, in entrambi i casi menti. Se dunque corrompo involontariamente, per colpe di tal sorta la disposizione di legge non è di trascinare qua, ma, prendendo in privato, d’insegnare e far intendere: è chiaro infatti che, se imparerò, cesserò di far ciò che, ecco, involontariamente faccio. Tu invece hai rifuggito la mia frequentazione e l’insegnamento a me e non hai voluto, invece mi trascini qui, ove è legge che si trascinino coloro che devono esser puniti ma non istruiti.

 

Note

[1] I cinquecento sorteggiati annualmente in numero pari dalle dieci tribù per far parte della boulē, consiglio con compiti di governo.

[2] Ekklēsia: parlamento aperta a tutti i cittadini ultraventenni.

 

Brano seguente: Platone, Apologia di Socrate (6)

 

 


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