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Platone, Apologia di Socrate (14)

Platone, Apologia di Socrate (14)

Nov 12

 

 

Brano precedente: Platone, Apologia di Socrate (13)

 

[38c] A motivo d’un tempo neppure lungo, o uomini d’Atene, avrete la nomea e la responsabilità, attribuitevi da coloro che vogliono vituperare la città, di aver ucciso Socrate*, uomo sapiente ‒ affermeranno infatti che io sono sapiente, anche se non lo sono, coloro che vogliono farvi sfigurare; se comunque foste rimasti in attesa poco tempo, allora questo sarebbe avvenuto spontaneamente. Guardate infatti la mia età, che è già avanti nella vita, anzi vicina alla morte. Dico dunque questo [38d] non a tutti voi, ma a coloro che han votato la mia condanna a morte. Dico dunque anche questo a questi stessi. Forse pensate che io, o uomini, sia stato sorpreso senza supporto di argomenti tali da persuadervi, se avessi pensato di dover fare e dire di tutto così da sfuggire alla condanna. Ci manca, ecco, molto. Ma son stato sorpreso sì senza supporto, non comunque di argomenti, ma di audacia ed impudenza e del non volere dire a voi cose tali che sarebbero state soavissime ad udirsi per voi ‒ lamentarmi e piangere e fare e dire molte altre cose [38e] pur se indegne di me, come io affermo, quali dunque voi siete soliti udire dagli altri. Ma né allora pensai, a motivo del rischio, di dover fare alcunché non da uomo libero, né adesso mi pento di essermi difeso così, ma preferisco di gran lunga morire dopo essermi difeso in questo modo che vivere dopo essermi difeso in quel modo. Né, infatti, in tribunale né in guerra, né io devo né alcun altro deve [39a] congegnare questo in modo da sfuggire, facendo di tutto, alla morte. Infatti anche nelle battaglie spesso diviene chiaro, ecco, che si potrebbe sfuggire al morire sia abbandonando le armi sia volgendosi a supplicare gli inseguitori; e ci sono molti altri accorgimenti, in ciascuno dei pericoli, per sfuggire alla morte, se si ardisce fare e dire di tutto. Ma temo che difficile non sia questo, o uomini d’Atene, sfuggire alla morte, ma che sia molto [39b] più difficile sfuggire alla malvagità: corre infatti più veloce della morte. Ed adesso io, dacché sono tardo e vecchio, son stato preso dalla più lenta, mentre i miei accusatori, dacché sono bravi e lesti, dalla più veloce: la malvagità. Ed adesso io me ne vado condannato da voi alla pena di morte, costoro invece condannati dalla verità alla pravità ed all’ingiustizia. Ed io rimango nella mia punizione, ed anche costoro. In qualche modo forse le cose dovevano andare così, e penso che esse lo facciano con misura.

[39c] Orduqnue, desidero predirvi quel che verrà dopo questo, o voi che avete votato contro di me: ed infatti sono già in quel punto in cui gli uomini predicono al meglio: quando stanno per morire. Affermo ecco, o uomini che mi avete ucciso, che vi coglierà una vendetta, subito dopo la mia morte, molto più dura, per Giove, di quella colla quale mi uccidete: adesso infatti operate così pensando di affrancarvi dal dar conto della vita, invece avverrà proprio il contrario, come io affermo. [39d] Saranno di più i vostri confutatori, che adesso io trattenevo, mentre voi non n’avete avuto sentore; e saranno tanto più duri quanto più sono giovani, e voi v’arrabbierete maggiormente. Se infatti pensate, uccidendo uomini, di trattenere qualcuno dal rinfacciarvi che non vivete rettamente, non ragionate bene: infatti questo affrancamento non è né possibile, assolutamente, né bello, ma quello è sia bellissimo sia facilissimo: non stroncare gli altri ma preparare se stessi in modo da essere i migliori possibili. Quindi vaticinando queste cose a voi che avete votato contro di me mi allontano.

 

Nota

* Socrate riprende a parlare dopo essere stato condannato a morte definitivamente, con più voti rispetto alla prima condanna.

 

 


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