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Melisso, Sulla natura o sull’essente (8)

Melisso, Sulla natura o sull’essente (8)

Mar 13

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Simplicius, De caelo, 558, 19 ( DK 30 B 8; R. B 8 )

Avendo detto, infatti, intorno all’essente che è unico, ingenerato, immobile e che non è interrotto da alcun vuoto, ma è interamente pieno di se stesso [mēdeni kenōi dieilēmmenon, all’ holon heautou plēres], prosegue:

(1) «megiston men oun sēmeion houtos ho logos, hoti hen monon estin; atar kai tade sēmeia.  (2) ei gar ēn polla, toiauta khrē auta einai, hoion per egō phēmi to hen einai. ei gar esti gē kai hudōr kai aēr kai pur kai sidēros kai khrusos, kai to men zōon to de tethnēkos, kai melan kai leukon kai ta alla, hosa phasin hoi anthrōpoi einai alēthē, ei dē tauta esti, kai hēmeis orthōs horōmen kai akouomen, einai khrē hekaston toiouton, hoion per to prōton edoxen hēmin, kai mē metapiptein mēde ginesthai heteroion, alla aei einai hekaston, hoion per estin. nun de phamen orthōs horan kai akouein kai sunienai;  (3) dokei de hēmin to te thermon psukhron ginesthai kai to psukhron thermon kai to sklēron malthakon kai to malthakon sklēron kai to zōon apothnēiskein kai ek mē zōntos ginesthai, kai tauta panta heteroiousthai, kai ho ti ēn te kai ho nun ouden homoion einai, all’ ho te sidēros sklēros eōn tōi daktulōi katatribesthai homoureōn, kai khrusion kai lithos kai allo ho ti iskhuron dokei einai pan, ex hudatos te gē kai lithos ginesthai; hōste sumbainei mēte horan mēte ta onta ginōskein.  (4) ou toinun tauta allēla homologei. phamenois gar einai polla kai aidia [kai] eidē te kai iskhun ekhonta, panta heteroiousthai hēmin dokei kai metapiptein ek tou hekastote horōmenou.  (5) dēlon toinun, hoti ouk orthōs heōrōmen oude ekeina polla orthōs dokei einai: ou gar an metepipten, ei alēthē ēn; all’ ēn hoion per edokei hekaston toiouton. tou gar eontos alēthinou kreisson ouden.  /6) ēn de metapesēi, to men eon apōleto, to de ouk eon gegonen. houtōs oun, ei polla eiē, toiauta khrē einai, hoion per to hen. = (1) Quindi massimo segno che solo l’uno è è questo argomento; comunque ci sono anche questi altri segni.  (2) Ecco: se i molti sono, bisogna che essi siano tali quale io affermo che è l’uno. Se, infatti, ci sono terra, acqua, aria e fuoco, ferro ed oro, sia il vivente sia il morto, nero e bianco e quanti altri enti gli uomini dicono essere veri – se, dunque, questi enti sono e noi rettamente vediamo ed udiamo, bisogna che ciascuno sia tale quale la prima volta sembrò a noi e che non si trasmuti né divenga alterato, ma che ciascuno sia sempre quale è. Ordunque affermiamo di vedere, udire e comprendere rettamente;  (3) sembra però a noi che il caldo divenga freddo ed il freddo caldo, il duro molle ed il molle duro, che il vivente muoia e si generi dal non vivente, che tutti questi enti si alterino e che ciò che era e ciò che è adesso non siano per nulla uguali, ma che il ferro, pur essendo duro, si consumi a contatto col dito, e anche oro, pietra e ciascun altro ente che sembra essere forte, e che terra e pietra si generino dall’acqua; consegue così che né vediamo né conosciamo gli essenti.  (4) Orbene, queste cose non concordano l’una coll’altra. Ecco, benché affermiamo che sono molti, aventi specie eterne e forza, ci sembra che tutti si alterino e trasmutino rispetto a come ciascuna volta li vedemmo.  (5) Orbene, è chiaro che non vediamo rettamente e che quei molti ci sembrano essere non rettamente: infatti, non trasmuterebbero, se fossero veri, ma ciascuno sarebbe tale quale sembrava. Infatti, nulla è più valido dell’essente verace.  (6) Qualora, invece, si fosse trasmutato, l’essente si sarebbe abolito, mentre il non essente si sarebbe generato. Così, dunque, se i molti fossero, bisognerebbe che fossero tali quale è l’uno».

 

[Arist.] De Mel., c. 1, 974 b 2 ( DK 30 A 5; R. A 5 )

dia toutōn de tōn tropōn kan einai polla kan hēmin ōieto phainesthai monōs. hōste epeidē oukh’oion te houtōs, «oude polla dunaton einai ta onta, alla tauta dokein ouk orthōs». polla gar kai alla kata tēn aisthēsin phantazesthai apantan; logon d’ out’ ekein’ hairein ta auta gignesthai, oute polla einai to on, alla «hen aidion te kai apeiron kai pantē homoion auto hautōi». = Dunque, mediante questi modi solamente credeva che gli enti potessero parerci molti. Cosicché, poiché non è possibile che sia così, «non è neppure possibile che gli essenti siano molti, ma così sembrano non rettamente». Infatti, anche molti altri enti appaiono illusoriamente secondo la sensazione; il pensiero, invece, non accetta né che gli stessi enti divengano in quei modi né che l’essente sia molteplice, ma accetta che sia «unico, eterno, illimitato, totalmente uguale a se medesimo».

 

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