Melisso, Sulla natura o sull’essente (12)
Melisso, Sulla natura o sull’essente (12)
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[Arist.] De Melisso, C. 2, 975 b 35 (DK 30 A 5; R. A 5)
(13) Però, se anche si convenisse su questi argomenti, e fosse e fosse ingenerato, sarebbe maggiormente dimostrato che è «illimitato» [ei de kai tauta tis sunkhōroie, kai eiē te kai agenēton eiē, ti mallon apeiron deiknutai]? Afferma, infatti che è «illimitato», se è e non nacque: afferma, infatti, che il principio e il termine della generazione sono limiti [ei esti men, mē gegone de: perata gar einai tēn tēs geneseōs arkhēn kai teleutēn]. (14) Eppure [kaitoi], che cosa vieta che, assumendo quegli enunciati, pur essendo ingenerato, abbia limite [agenēton on ekhein peras ek tōn eirēmenōn]? Infatti, valuta che, se si fosse generato, avrebbe questo principio donde principiò a generarsi [ei gar egeneto, arkhēn ekhein axioi tautēn hothen ērxato gignomenon]. Che cosa, però, vieta che, anche se non si è generato, abbia principio, non già quello da cui si sarebbe generato, bensì uno alternativo, e che gli essenti, pur se eterni, presentino limiti l’uno rispetto all’altro [kai ei mē egeneto, ekhein arkhēn, ou mentoi ge ex hēs ge egeneto, alla kai heteran, kai einai perainonta pros allēla aidia onta]? (15) E poi, che cosa vieta che l’intero, essendo ingenerato, sia illimitato, mentre quelli che son generati in lui sian delimitati, avendo un principio e un termine della generazione [to men holon agenēton on apeiron einai, ta de en autōi gignomena peperanthai, ekhonta arkhēn kai teleutēn geneseōs]? (16) Ed anche [eti kai], come afferma Parmenide, che cosa vieta che anche il tutto, pur essendo unico e ingenerato, ugualmente sia delimitato [kai to pan hen on kai agenēton homōs peperanthai], e sia
in ogni dove simile a volume
di ben circolar sfera, equipendente
dal mezzo dappertutto: fato è,
ecco, ch’esto non sia né d’un qualcosa
maggiore né minore d’un qualcosa
qui oppure qui [DK 28 B 8, vv. 43-45].
Avendo, dunque, mezzo ed estremi, ha limite pur essendo ingenerato [ekhon de meson kai eskhata, peras ekhei agenēton on]. (17) E poi, essendo illimitato, e se [eti apeiron on ei kai], come egli stesso argomenta, è unico, e questo è corpo, ha in sé parti diverse, però tutte uguali a sé [hen esti, kai touto sōma, ekhei alla heautou merē, heautōi de homoia panta] ((18) e infatti argomenta che il tutto è uguale in questo modo [homoion houtō legei to pan einai], e non, come altri, rispetto ad altro, col che si vede che l’illimitato, se uguale, si denuncerebbe sì limitato: l’uguale è uguale ad altro, cosicché, essendo due o più, non sarebbe né unico né illimitato [heterōi tini, hōi peranthen an horas elenkhesthai, ei homoion, to apeiron, to ge homoion heterōi homoion, hōste duo ē pleiō onta ouk an hen oud’ apeiron einai]; ma evidentemente parla dell’uguale in relazione a se stesso [isōs to homoion pros heauto legei] e afferma che esso è tutto uguale a sé perché dotato di parti uguali [phēsin auto hautōi homoion einai pan, hoti homoiomeres], essendo tutto insieme [on hapan] acqua o terra o qualcos’altro di simile a questo [ei ti toiouton allo]: è chiaro [dēlon], infatti, nel ritenere che l’uno sia siffatto [houtōs axiōn einai hen]; dunque, essendo ciascuna delle parti un corpo, esse non sono illimitate, giacché illimitato è l’intero, cosicché esse presentano limiti l’una rispetto all’altra, pur essendo ingenerate [tōn dē merōn hekaston, sōma on, ouk apeiron esti, to gar holon apeiron, hōste tauta perainei pros allēla agenēta onta].
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