Leone VI, Il giglio
Leone VI, Il giglio
Ago 31Se terra tutta e mare e volta a volo
corressi, non vedresti meraviglia
tale: che rappresenta infatti il giglio
mirabile su tutto? Ascolta, monde
le orecchie dalla psichica lordura:
è difatti un mistero sovrastante
le meraviglie, eccelso essenzialmente
per il riferimento e per il senso;
anzi: si meravigliano, ritengo,
degli angeli le schiere, riguardando
il supremo spettacolo. All’interno
Cristo infatti recando raggi esplica
la luce e squarcia il buio e un modello
stellando trilucente indica, tre
persone prospettante in Dio. Però
egli, benché sussistere desideri
in essenza qual uno, nella luce
qui della trinità triplicemente
splende. Quindi gli apostoli, in un cerchio
stanti, splendono, illuminan le menti
delle nazioni; alcuni dall’interno
rifulgon nell’aspetto, ricevendo
una fulgida tunica da lui,
la materia schiacciando ed il creato
appiccando; di fuori, poi, sei, stando
intervallati, son biancovestiti
in quanto per il Verbo splendon, l’ora
nero e torbido cuor riaccendon splendido
grazie a divine leggi. Oh meraviglia,
oh stupor, oh novel prodigio, che
è questa meraviglia? Cristo stava
nel mezzo degli apostoli lucifici
e sapienti a ciascuna città inviandoli ‒
oh meraviglia orribile, mostruosa,
strana ‒ ed essi percorsero la terra
tutta colle parole. Si rallegri
dei nati dalla terra la natura
intera, il giglio guardando a modello
del dì, in cui siederanno come giudici
sui troni quei che lì s’accendon più
del sol. Ohibò, ohibò! E dunque del giglio
lo spettacolo funge da criterio
non falso, o Verbo, del demiurgo sia
sapiente sia potente. Ahi, ahi! Piangi,
malevolo omicida, mentre vedi
il giglio che rafforza degl’instabili
le menti. Ma, o arbitro d’umana
salvezza, o voi dall’aura bianca, igniferi
nonché sapienti, o Pietro, Saul, Giovanni,
Andrea, Luca, Matteo e Bartolomeo,
Filippo, Jacopo, Thoma insieme a Marco,
Giuda d’Jacopo e schiera rimanente,
bon Cristo sia nell’ora di giustizia.