Inno a Cristo di Sinesio di Cirene
Inno a Cristo di Sinesio di Cirene
Dic 04Illustre, molto amabile,
te, beato, generato
dalla Solimia Vergine,
celebro, che l’astuto
laccio, il serpente d’inferi,
scacciasti dai paterni
giardini grandi, il quale
frutto proibito diè,
cibo di morte orribile,
a primeva pulzella.
Illustre, stefanoforo,
te, Padre, figlio della
Solimia Vergin, celebro.
Scendesti insin al suolo
a dimorare tra gli
effimeri e mortal
corpo portar; al Tartaro
pur discendesti, dove
Morte nazioni d’anime
mena a miriadi. Allora
per te ebbe il veglio un fremito,
Ade l’antico, e il cane
divorator di genti,
che grave ha vigor,
si ritirò dal limine.
E, sciolti dalle pene
i santi cori d’anime,
con officianti intatti
al Padre gl’inni elevansi.
Illustre, coronato,
te, Padre, di Solimia
Vergine qual figlliol,
celebro. Trepidarono
per te, nel che ascendevi,
le genti inenarrabili
dei demoni dell’aria,
degl’astri incorruttibili
stupì l’intatto coro,
e rise l’eter, padre
sapiente d’armonia:
dalla lira eptatonica
pel canto di vittoria
si diramò la musica.
Prospero, il messaggero
del dì, sorrise, ed Espero
d’or, l’astro di Citera;
di fluente fuoco empiendo
il curvo suo lucor,
Luna guidava, demoni
notturni pascolante;
e il Titan l’ampiofulgida
chioma spandeva sotto
il tracciato ineffabile,
e riconobbe il Figlio
di Dio, mente architetta,
causa del fuoco suo.
Però tu, col distendere
l’arto, del bluvoltato
cielo passasti i posteri,
sostando tra le sfere
mentali, le intangibili,
laddove sta la fonte
dei beni, il silenzioso
Ciel; là non sono né
tempo dal fondo scorrere
traente i terrigni al piede
mai stanco, né le impudiche
piaghe di fondondante
materia, ma antichissimo
Evo non veglio; sendo in
un vecchio e nuovo, a Divi
manenza eterna tien.