Frammenti morali di Democrito (4)
Frammenti morali di Democrito (4)
Set 09[ad#Ret Big]
Non bramare di aver scienza di tutto [panta epistasthai prothymeo], ché tu non divenga ignorante di tutto [pantōn amathēs genē].
Felicità ed infelicità [kakodaimoniē] sono proprie dell’anima.
La felicità non dimora [oikei] nel bestiame né nell’oro: l’anima è la dimora della sorte [oikētērion daimonos].
Dalle stesse cose da cui si generano i beni potrebbero raggiungerci [epauriskoimeth’an] anche i mali, dai quali mali dobbiamo tenerci fuori [ektos eiēmen]. Così l’acqua fonda [hydōr bathy] è utile a molte cose [eis polla chrēsimon] ma anche dannosa [kakon]: c’è il rischio [kindynos] infatti di affogare. Si è trovato [eurethē] dunque un rimedio [mēchanē]: insegnare [didaskein] a nuotare.
Per gli uomini i mali nascono [phyetai] dai [ex] beni, qualora uno non sappia guidare [pistētai podēgetein] né gestire abilmente [ochein euporōs] i beni. È giusto [dikaion] giudicare [krinein] queste stesse cose non tra [en] i mali, ma tra i beni; inoltre si può [oion] usare [chrēsthai] i beni anche a difesa [alkēi] contro i mali, sempreché uno sia risoluto [ei tini boulomenōi].
Chi è portato di buon animo ad opere [euthymos eis erga epipheromenos] giuste e lecite [nomima], è gioioso [chairei] sia nella veglia [hypar] sia nel sonno [onar], è forte [errōtai] ed è sicuro [anakēdēs]; chi invece non fa conto [alogēi] della giustizia e non compie [erdēi] ciò che è da farsi [ta chrē eonta], si disgusta [aterpeiē] di tutte le cose consimili qualora se ne rammenti [anamnēsthēi], è turbato [dedoike] e fa del male a se stesso [heauton kakizei].
Mentre la fortuna è gran donatrice [tychē megalodōros] ma instabile [abebaios], la natura è autosufficiente [autarkēs], per cui vince [nikai] col meno eppur stabile [kai bebaiōi] il più della speranza [tēs helpidos].
Né un discorso acconcio occulta un’azione spregevole [logos esthlos phaulēn prēxin amauriskei] né un’azione buona è rovinata dalla maldicenza [agathē logou blasphēmiēi lymainetai].
La cosa peggiore [kakiston] di tutte nell’educare [paideusai] la gioventù è la leggerezza [hē eupeteiē]: questa infatti è ciò che partorisce [tiktei] quei piaceri dai quali si genera la malvagità [hē kakotēs].
I fanciulli non abituati a faticare [ponein] crescendo non imparano né le lettere né la musica né la ginnastica [agōniēn] né quanto massimamente costituisce [synechei] la virtù: il provare pudore [to aideisthai]; infatti appunto da queste cose suol generarsi il pudore [philei gignesthai hē aidōs].
La cultura per i fortunati [hē paideia eutychousi] è ornamento [kosmos], per gli sfortunati [atychousi] è invece rifugio [kataphygion].
Appare [phaineitai] meglio per l’incitamento [protropēi] alla virtù [ep’aretēn] che si usi [chrōmenos] l’argomentazione [logou] persuadendo [peithoi] più che la legge [nomōi] e la costrizione [anankēi]: infatti, mentre da un lato è immaginabile [eikos] che delinqua [hamarteein] di nascosto [lathrēi] chi dalla legge è distolto dall’ingiustizia [heirgmenon adikiēs], dall’altro non è immaginabile che chi è indotto al dovere colla persuasione [es to deon ēgmenon peithoi] faccia qualcosa di scorretto [erdein ti plēmmeles] o di nascosto o manifestamente [phanerōs]; perciò colui che agisce rettamente [orthoprageēon] grazie alla comprensione [synesei] e alla scienza [epistēmēi] diviene [gignetai] un uomo di valore [andreios] e insieme responsabile [euthygnōmos].
Mentre l’istruzione produce [hē mathēsis exergazetai] belle realizzazioni grazie agli sforzi [chrēmata tois ponois], le cose turpi [aischra] fruttificano spontaneamente [automata karpoutai], senza sforzi. E difatti ciò spesso costringe [exeirgei] chi pur non lo vuole [ethelonta] ad essere tanto vizioso quanto è di natura difettosa [physikēs kakēs].
A volte [pou] i giovani hanno avvedutezza [xynesis] ed i vecchi sprovvedutezza [axynesiē]; infatti ciò che insegna a riflettere [phronein] è non il tempo [chronos] ma l’educazione infantile [hōraiē trophē] e la natura [physis].