Frammenti filosofici di Senofane (1)
Frammenti filosofici di Senofane (1)
Lug 22
ELEGIE
H. Diels – W. Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Griechisch und Deutsch, Berlin 1951-1952, 21 B 1
Ecco dunque che adesso il pavimento è mondo [katharon], come pure le mani di tutti
e i calici; di piegate corone uno ci circonda,
un altro dunque beneodorante unguento in una coppa tende;
un cratere dunque sta colmo di gioia [euphrosunēs],
altro vino dunque è pronto, che promette di non perdersi mai,
mite nelle anfore e di fiore odorante;
in mezzo dunque l’incenso getta sacro [hagnēn] odore;
fresca, dunque, c’è acqua e dolce e monda;
son apparecchiati dunque pani biondi e la veneranda tavola [gerarē te trapeza]
di cacio e miele pingue carica;
l’altare [bōmos] dunque, nel mezzo, è fittamente coperto di fiori,
il canto [molpē] dunque tiene l’ambiente della casa, e la festa.
Bisogna dunque in primis che uomini sereni assennati levino inni al dio [theon humnein euphronas]
con bendetti racconti e mondi discorsi [euphēmois muthois kai katharoisi logois];
avendo libato [speisantas] dunque e pregato di poter le azioni giuste [ta dikaia]
fare [prattein] – questa infatti è la cosa più importante [prokheiroteron] –
non è eccesso [hubris] bere tanto da aver modo di arrivare
a casa senza l’aiuto del servo, se non sei troppo vecchio.
Degli uomini dunque da lodare è colui che bevendo rivela [anaphainei] cose belle [esthla],
siccome è a lui memoria [mnēmosunē] e tensione alla virtù [tonos amph’ aretēs],
non discutendo di battaglie di Titani né di Giganti
né di Centauri, plasmazioni dei predecessori [plasmata tōn proterōn]
o di sedizioni violente, nelle quali non c’è nulla di utile [khrēston]:
è bene [agathon] ‹invece› avere sempre rispetto [promētheiēn] degli dèi. (1)
Diels-Kranz 21 B 2
Ma se per sveltezza di piedi la vittoria uno ottenesse
o gareggiando nel pentatlon, laddove di Giove è il recinto sacro
presso le correnti del Pisa in Olimpia, oppure lottando
od anche avendo l’arte pugilistica dolorosa,
oppure qualcosa di terribile, la gara che pancrazio chiamano,
pei cittadini allora sarebbe più glorioso allo sguardo
ed allora il posto d’onore nei giochi otterrebbe
ed allora mantenuto sarebbe a pubbliche spese
dalla città ed otterrebbe un dono che per lui un cimelio sarebbe;
ed anche se vincesse coi cavalli, allora tutti questi premi avrebbe in sorte
pur non essendone degno [axios] come me. Della forza [rōmēs] è infatti migliore [ameinōn],
sia di uomini sia di cavalli, la nostra sapienza [sophiē].
Ma molto a prima vista [eikēi] questo è valutato [nomizetai], né è giusto [dikaion]
preferire [prokrinein] la forza alla buona [agathēs] sapienza.
Neppure, infatti, se vi fosse un buon pugile tra il popolo,
oppure uno bravo a gareggiare nel pentatlon oppure nella lotta,
oppure nella sveltezza di piedi, la quale è la più stimata
tra quante opere di forza degli uomini nelle gare han posto,
non per questo, ordunque, la città sarebbe di più in buon ordine [en eunomiēi].
Una qualche piccola gioia [kharma], ordunque, in città si genererebbe per questo:
se uno gareggiando vincesse presso le sponde del Pisa:
infatti queste cose non impinguano i forzieri della città.
Diels-Kranz 21 B 7
adesso invece inizio un altro discorso [logon], indicherò [deixō] dunque il cammino [keleuthon]…
e, allorquando egli (2) transitò mentre era sferzato un cagnolino,
professano che provò compassione [epoiktirai] ed espresse questo verbo:
“Posa e non picchiare, poiché di persona amica è
l’anima, la qual riconobbi udendola gridare”.
SILLI
Diels-Kranz 21 B 10
poiché dal principio da Omero hanno imparato [memathēkasi] tutti…
Diels-Kranz 21 B 11
tutte le affezioni Omero ed Esiodo attribuirono [anethēkan] agli dèi,
quante per gli uomini sono invise [aneidea] e riprovate [psogos]:
rubare e fornicare e l’un l’altro ingannare [kleptein moikheuein te kai allēlous apateuein].
Diels-Kranz 21B 12
…come raccontarono moltissime empie opere [athemistia erga] degli dèi:
rubare e fornicare e l’un l’altro ingannare.
Diels-Kranz 21 B 14
all’ hoi brotoi dokeousi gennasthai theous,
tēn spheterēn d’ esthēta ekhein phōnēn te demas te.
Ma i mortali s’illudono che sian generati gli dèi,
che dunque abbiano la stesso loro veste e voce e struttura.
Diels-Kranz 21 B 15
ma se mani avessero buoi e cavalli e leoni
o da disegnare con mani ed opere terminare quali gli uomini,
i cavalli uguali [homoias] ai cavalli, mentre i buoi ai buoi immagini [ideas]
degli dèi disegnerebbero e foggerebbero corpi [sōmat’]
tali quali anch’essi avrebbero per struttura ciascuno.
Diels-Kranz 21 B 16
Gli Etiopi professano che gli dèi loro son camusi e neri
e i Traci che han occhi azzurri e capelli fulvi.
Diels-Kranz 21 B 17
Stanno dunque ‹bacchi› d’abete intorno alla solida casa. (3)
Diels-Kranz 21 B 18
outoi ap’ arkhēs panta theoi thnētois’ hupedeixan,
alla khronōi zētountes epheuriskousin ameinon.
Non sin da principio tutte le cose gli dèi ai mortali rivelarono,
ma, col tempo, cercando ritrovano il meglio.
Diels-Kranz 21 B 20
centocinquantaquattro (4)
Note
(1) Nel simposio, la bevuta con gli amici che affonda in pratiche molto più arcaiche e meno laiche, si armonizzano gli aspetti più nobili delle attività più importanti della comunità: religione, piacere, amicizia, amore, arte, politica.
(2) Pitagora, propugnatore della metempsicosi.
(3) Contesto dionisiaco: le ferule, rametti d’abete, sono portate in processione dagli iniziati in onore di Dioniso.
(4) Anni vissuti da Epimenide, figura liminale nella quale intuizioni sapienziali emergono da un contesto più sciamanico che filosofico.
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