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Frammenti di Parmenide (2)

Frammenti di Parmenide (2)

Ago 05

 

 

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Diels-Kranz 28 B 2

Proclus, In Platonis Timaeum, I 345, 18 Diehl

3-8. Simplicius, In Aristotelis Physicam, 116, 25: Se si desidera ancora udire lo stesso Parmenide enunciare [legontos] queste proposizioni [protaseis], e precisamente quella che definisce non essente e nulla quel che sta di contro all’essente [to para to on ouk on kai ouden legousan], la quale è identica al dire l’essente in un solo senso [hē autē esti tēi to on monakhōs legesthai], la si troverà in questi versi: «l’una… enunciare».

ei d’ ag’ egōn ereō, komisai de su muthon akousas,
haiper hodoi mounai dizēsios eisi noēsai.
hē men hopōs estin te kai hōs ouk esti mē einai,
Peithous esti keleuthos (Alētheiēi gar hopēdei),
hē d’ hōs ouk estin te kai hōs khreōn esti mē einai,
tēn dē soi phrazō panapeuthea emmen atarpon:
oute gar an gnoiēs to ge mē eon (ou gar anuston)
oute phrasais.

Suvvia dunque, io dirò – tu dunque accogli ascoltando il verbo –
quali sole vie di duale ricerca è possibile intuire:
l’una, che è e che non è possibile che non sia
– è sentiero di Persuasione (segue infatti Verità) –,
l’altra che non è e che è necessario che non sia,
ti enuncio dunque che questa è cammino totalmente imperscrutabile:
né, infatti, potresti conoscere quel che, ecco, non è (non è infatti fattibile),
né enunciare.

Diels-Kranz 28 B 3

Clemens, Stromateis, VI 23 (II 440, 12 Stählin)

Plotinus, Enneades, V 1, 8: Fu seguace anche Parmenide in precedenza di una dottrina [doxas] di questa sorta, in quanto fece coincidere in identità essente ed intelletto [eis tauto sunēge on kai noun] e non pose l’essente nel novero dei sensibili [to on ouk en tois aisthētois epitheto]. Dicendo «infatti… essere» argomenta [legei] anche che questo è immobile, sebbene aggiungendo il pensare elimini da esso ogni movimento corporeo [prostitheis to noein sōmatikēn pasan kinēsin exairōn ap’ autou].

… to gar auto estin noein te kai einai.

…Infatti lo stesso è intuire ed essere.

Diels-Kranz 28 B 4

Clem. Strom., V 15 (II 335, 25 Stählin): Ma anche Parmenide, parlando enigmaticamente intorno alla speranza nel suo poema, dice cose di questa sorta: «perlustra… ricostituito», poiché anche colui che spera, come colui che ha fede, con l’intelletto vede gli enti intelligibili ed i futuri [tōi nōi horai ta noēta kai ta mellonta]; ora, se professiamo che v’è qualcosa di giusto [ti einai dikaion], e professiamo anche che v’è un bello, diciamo pure che qualcosa è verità [alla kai alētheian ti legomen]; comunque non abbiamo mai visto [eidomen] nessuno degli enti di tal sorta con gli occhi, ma solo con l’intelletto.

leusse d’ homōs apeonta noōi pareonta bebaiōs:
ou gar apotmēxei to eon tou eontos ekhesthai
oute skidnamenon pantēi pantōs kata kosmon
oute sunistamenon.

Perlustra dunque similmente come cose assenti all’intuizione sian presenti saldamente:
infatti non reciderai l’essente dal connettersi coll’essente,
né sezionato dappertutto totalmente nel cosmo,
né ricostituito.

Diels-Kranz 28 B 5

Proclus, In Platonis Parmenidem, 1, 708, 16

xunon de moi estin,
hoppothen arxōmai: tothi gar palin hixomai authis.

uguale dunque mi è
da dove comincerò: lì infatti ancora una volta ritornerò.

Diels-Kranz 28 B 6

Simpl. Phys. 117, 2: Argomenta [legei] che la contraddizione [antiphasis] non è contemporaneamente vera [sunalētheuei] mediante quei versi mediante i quali biasima coloro che conducono ad identità gli opposti [memphetai tous eis tauto sunagousi ta antikeimena]: infatti, dopo aver detto «è infatti essere… duale ricerca», <procede>: «e dopo ancora… sentiero».

8-9. Simpl. Phys. 78, 2: Dopo aver biasimato coloro che l’essente ed il non essente fan coincidere nell’intelligibile [sumpherousin en tōi noētōi] «dai quali… e non lo stesso», ed aver stornato dalla via che cerca il non essente [apostrepsas tēs hodos tēs to mē on zētousēs]: «ma… intuito» [DK 28 B 7, 2], procede: «ancora un solo ecc.» [DK 28 B 8, 1].

khrē to legein te noein t’ eon emmenai: esti gar einai,
mēden d’ ouk estin; ta s’ egō phrazesthai anōga.
protēs s’ ar’ hodou tautēs dizēsios <eirgō>,
autar epeit’ apo tēs, hēn dē brotoi eidotes ouden
plattontai, dikranoi: amēkhaniē gar en autōn
stēthesin ithunei plakton noon; hoi de phorountai
kōpsoi homōs tuphloi te, tethēpotes, akrita phula,
hois to pelein te kai ouk einai tauton nenomistai
kou tauton, pantōn de palintropos esti keleuthos.

È necessario il dire e l’intuire che l’essente è: è infatti essere,
niente invece non è; questi enunciati io ti comando di meditare.
Ecco, da questa prima via di duale ricerca ti ‹distorno›,
e dopo ancora da questa, per la quale, ordunque, mortali che non sanno nulla
errano, bicipiti: l’incertezza infatti nei loro
petti dirige una errabonda intuizione; costoro dunque son trasferiti,
sordi e insieme ciechi, istupiditi, stirpi senza discernimento,
dai quali l’esistere e il non essere son ritenuti lo stesso
e non lo stesso: di tutte le cose dunque c’è un tornante sentiero.

 

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