Argomenti epicurei contro il timore della morte (2)
Argomenti epicurei contro il timore della morte (2)
Mar 03[ad#Ret Big]
Articolo precedente: Argomenti epicurei contro il timore della morte (1)
Primo argomento
Nessun soggetto di danno
1. Esposizione
Un primo rimedio contro il timore della morte è il cosiddetto argomento “nessun soggetto di danno”, formulato da Epicuro nella Lettera a Meneceo [125]. Esso costituisce una possibile obiezione alla tesi del danno:
Il più orrido dunque dei mali, la morte, nulla è per noi, poiché, quando noi siamo, la morte non è presente, quando invece la morte è presente, allora noi non siamo. Dunque non è per i viventi né per i trapassati, poiché non è presso quelli, questi invece non sono più.*
L’argomento epicureo è un capolavoro di sintesi. Eppure, malgrado l’apparente chiarezza e semplicità, riposa su numerosi assunti inespressi. Proviamo a sbrogliare la matassa, esplicitando l’implicito.
Domanda: Dobbiamo temere la morte?
Risposta di Epicuro: Non dobbiamo.
Argomento:
- In generale, non dobbiamo temere ciò che è irrazionale temere, ed è irrazionale temere ciò che non ci può danneggiare. Pertanto, non dobbiamo temere ciò che non ci può danneggiare.
- Ora, affinché qualcosa possa danneggiarci, deve poter agire su di noi; ma per poter agire su di noi, deve almeno coesistere con noi. Dunque, per poterci danneggiare, è necessario che la morte coesista con noi.
- Dato che ciascuno di noi, o è vivo, o è morto (tertium non datur), allora la morte può danneggiarci, o quando siamo vivi, o quando siamo morti.
- Tuttavia, nel primo caso, per quanto malridotti o in fin di vita possiamo essere, siamo comunque vivi, non morti; dunque, quando siamo in vita non coesistiamo con la morte, pertanto essa non può avere alcun effetto su di noi.
- Nel secondo caso, poiché da morti non esistiamo più, la morte è presente quando noi siamo del tutto assenti; quindi, quando siamo morti, essa non coesiste con noi. Perciò né lei né alcun evento postumo concomitante possono arrecarci offesa.
- Di conseguenza, giacché non ci troviamo mai a coesistere con la morte, né da vivi né da morti, essa non ci può danneggiare in alcun modo.
- In conclusione, se non dobbiamo temere ciò che non può arrecarci danno, e la morte non può farlo, allora non dobbiamo temere la morte.
L’argomento trova il suo punto di forza nell’affermazione dell’impossibile coesistenza tra il soggetto che subirebbe il danno (ciascuno di noi) e l’agente che lo provocherebbe (la morte). Così le nostre paure riguardo alla morte sarebbero razionalmente infondate. Esse sorgerebbero dall’erronea credenza che continuiamo a esistere da morti – e che quindi, in una certa misura, possiamo subire e patire.
Chi è afflitto da tali timori immagina di sopravvivere a se stesso per piangere la propria dipartita; ritiene che, in qualche modo, sia possibile esperire il proprio decesso. Ma l’errore starebbe proprio qui: concepirsi esistenti nella condizione di morte – una prospettiva assurda e contraddittoria. Così, mediante il suo argomento, Epicuro rigetta la tesi del danno.
Posto in questi termini, l’argomento “nessun soggetto di danno” suona convincente e, per certi versi, inoppugnabile. Tuttavia, si possono contestare alcune sue premesse, come vedremo dal prossimo articolo.
* Ringrazio Giulio Giacometti per la traduzione originale dal testo greco.
Articolo successivo: Argomenti epicurei contro il timore della morte (3)