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Diogene Laerzio su Talete (terza parte: I, 33-37)

Diogene Laerzio su Talete (terza parte: I, 33-37)

Dic 25

Brano precedente: Diogene Laerzio su Talete (seconda parte: I, 27-33)

Dunque, Ermippo nelle Vite attribuisce a lui quel che è riferito da alcuni per quanto concerne Socrate. Ecco: professava – secondo questa fama – di essere grato alla tyche allegando queste tre ragioni: «Primo, giacché nacqui uomo e non bestia; poi, giacché nacqui uomo e non donna; terzo, giacché nacqui elleno e non barbaro». 34 Una leggenda, poi, sostiene che, mentre veniva condotto da una vecchia fuori di casa, tutto intento a esaminare gli astri cadde in fondo a un fosso, così la vecchia biasimò in questo modo lui che si lamentava: «Tu, ecco, Talete, che non sei in grado di vedere gli oggetti che hai tra i piedi, credi di poter conoscere gli oggetti lassù nel cielo?». Anche Timone vede in lui uno che coltiva l’astronomo, così nei Silli lo loda dicendo:

Così fu Talete tra i sette sofi, sofo eletto in astronomia.

Quanto, poi, ai suoi scritti, Lobone l’argivo sostiene che si estendono a duecento versi. Sulla sua effigie, inoltre, si osserva questo epigramma:

Mileto di Ionia nutrì e manifestò questo Talete,
astronomo, tra tutti privilegiato quanto a sofia.

35 Tra i suoi canti poetici, dunque, vi sono questi versi:

No, in alcun modo la pletora di vocaboli esprime savia dottrina.
Appetisci una singola cosa: saggezza,
scegli una singola cosa: quanto vale:
ecco, scioglierai degli uomini loquaci
le lingue parlanti all’infinito.

Di lui si tramandano anche gli apoftegmi riferiti di seguito:

Tra gli essenti, il pristino è Dio, siccome è ingenerato.
Il più bello: il cosmo, siccome n’è artefice Dio.
Il maggiore: lo spazio, siccome contiene l’insieme di tutti.
Il più veloce: il nous, siccome passa attraverso tutti.
Il più forte: la necessità, siccome domina tutti.
Il più sapiente: il tempo, siccome rivela tutto.

Professava che la morte non differisce assolutamente dalla vita. «Tu, quindi, perché non muori?», biasimò qualcuno. «Giacché non v’è assolutamente differenza», rispose.

36 A chi gli pose la domanda su che cosa nacque per primo, la notte o il giorno, rispose: «La notte, giacché è prima di un giorno». Quando qualcuno gli chiese se un uomo, commettendo ingiustizia, può rimanere latitante dalla condanna degli dei, rispose: «È altrettanto impossibile quando lo si pensa». A un adultero che gli chiedeva se avrebbe dovuto giurare di non aver commesso adulterio, rispose: «Lo spergiuro non è peggiore dell’adulterio». Quando gli fu chiesto che cosa è difficile, rispose: «Questo: conoscere sé stesso». E che cosa è agevole? «Fare da consigliere a un altro». Che cosa è più soave? «Questo: ottenere il successo». Che cos’è il divino? «Quel che non ha né inizio né termine». Che cosa sarebbe più disgustoso da vedere? Disse: «Un tiranno che sia riuscito a invecchiare». Come si potrebbe soffrire la sventura nel modo più agevole? «Osservando che i nemici ne sopportano di peggiori». Come potremmo vivere nel modo più virtuoso e più giusto? «Non facendo noi stessi quel che obiettiamo agli altri». 37 Chi è felice? «Colui che è in salute nel corpo, ricco nella psiche e per indole è beneducato».

Esorta a rammentarsi degli amici presenti e assenti, a non abbellirsi nell’aspetto ma, all’opposto, a essere bello nei comportamenti. Tra l’altro dice: «Non arricchirti disonestamente», «né ti delegittimi un discorso proposto a coloro che si son accomunati con te per un patto di fiducia». Dispensa questi altri discorsi: «Prospettati da parte dei figli gli stessi benefici che hai arrecato ai genitori». Avanzò la teoria che le piene subite dal Nilo siano provocate dai venti periodici che soffiano in senso opposto.

La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.

Brano seguente: Diogene Laerzio su Talete (quarta parte: I, 37-40)


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