Diogene Laerzio su Stilpone (II, 113-120)
Diogene Laerzio su Stilpone (II, 113-120)
Ago 28
Brano precedente: Diogene Laerzio su Euclide di Megara (II, 106-112)
113 Stilpone di Megara in Ellade ascoltò le dissertazioni di alcuni che erano stati formati da Euclide; alcuni, d’altronde, professano che costui abbia ascoltato le lezioni dello stesso Euclide, ma anche quelle di Trasimaco corinzio, che era discepolo di Ittia, come afferma Eraclide. Nella sua attività di selezione euristica degli argomenti e nell’acutezza sofistica precedeva di tanto gli altri che mancò poco che tutta quanta l’Ellade, guardando a costui, non iniziasse a megarizzare. Leggiamo quanto afferma Filippo il megarico su di lui: «Ecco, da Teofrasto strappò via Metrodoro il Teorematico e Timagora di Gela e da Aristotele il cirenaico prese Clitarco e Simmia; dai dialettici, dunque, prese Peoneo da Aristide e Difilo del Bosforo, invece, da [lacuna] il figlio di Eufante, e Mirmece, figlio di Esseneto, entrambi presentatisi per confutarlo, li ebbe come zelanti emuli». 114 Ebbene, a parte costoro, condusse presso di sé Frasidemo il peripatetico, che era anche esperto indagatore fisico, Alcino, conoscitore di retorica, primeggiante nell’insieme di tutti i retori in Ellade, dunque Cratete e in più moltissimi altri, che catturò; dunque, assieme a costoro trasse a sé anche Zenone il fenicio. Gli era molto congeniale, dunque, anche la politica.
Ebbene, aveva preso moglie; era anche insieme a un’etera, Nicarete, come afferma da qualche parte anche Onetore. Generò anche una figlia intemperante, che un suo discepolo, Simmia il siracusano, sposò. Giacché costei viveva stortamente, qualcuno provocò Stilpone dicendo che lo copriva di vergogna; egli dunque rispose: «Non più di quanto io onori lei».
115 Costui, dunque, fu accolto, dicono, anche da Tolemeo Soter. Dunque, quando pervenne in possesso di Megara, quest’ultimo gli diede del denaro e lo chiamò a navigare insieme con lui in direzione dell’Egitto. Egli, dunque, benché prendesse misuratamente un po’ di questo denaro, rifiutando di procedere con lui s’incamminò in direzione di Egina, sinché quello salpò via da là. Ma altresì Demetrio di Antigono, quando conquistò Megara, provvide che la casa gli fosse conservata e che gli fossero ridati tutti gli oggetti dei quali era stato rapinato. Dunque, quando Demetrio volle ricevere da lui una nota scritta elencante le cose perdute, Stilpone affermò di non aver perduto nessuna delle sue proprietà, ed eccone la ragione: nessuno gli aveva sottratto la cultura, ed aveva comunque l’intelletto e l’episteme.
116 Dopo aver dialogato con lui perlustrando la beneficenza nell’interesse degli uomini, lo conquistò in modo tale che prestò molta attenzione ai suoi consigli. Affermano che Stilpone, per quanto concerne l’Atena di Fidia, abbia congegnato questo ragionamento, scegliendo d’articolarlo come questione: «Atena figlia di Giove, ecco, non è forse un dio?»; dunque, quando l’altro professò: «Sì», provocò: «Questa, d’altronde, non è di Giove, bensì di Fidia»; dacché l’altro lo concedeva, inferì: «Dunque questa non è un dio». Chiamato a presentarsi nell’Areopago come imputato per questo, non negò, professando di contro di aver ragionato dialetticamente in modo corretto, siccome ella non è un dio bensì una dea, mentre dei sono i maschi. Sta di fatto che gli areopagiti gli ordinarono di uscire subito dalla polis. In questa stessa occasione, dunque, Teodoro, quello detto dio, obiettò provocatoriamente: «Ma donde traeva questa evidenza Stilpone? Le ha forse tirato su la veste e ha osservato la sua natura?». Questi era sfrontatissimo; Stilpone, di contro, era acutissimo.
117 Quando Cratete gli chiese se gli dei si compiacciano delle proscinesi e dei voti, professano che gli abbia dato sulla voce: «Non interrogarmi con questi quesiti per via, imbecille, ma quando rimarremo soli». Anche Bione avrebbe dato sulla voce in questo stesso modo quando gli fu chiesto se gli dei sono:
Non disperderai la folla lungi da me, miserabile d’un vecchio?
Stilpone, ciononostante, era spontaneo e non affettato, e comunque si presentava ben disposto verso la gente comune. Dunque, quando Cratete il cinico s’astenne dal rispondere a un quesito, secernendo invece aria dal ventre, disse: «Prevedevo che avresti provocato qualunque suono tranne quello che avresti dovuto». 118 Un’altra volta, quando Cratete gli protese un fico secco e gli pose un quesito, egli, accettandolo, se lo mangiò; dunque, quando l’altro provocò: «O Ercole! Ho perduto il fico secco», egli disse: «Non solo, ma non ti è rimasto neanche il quesito di cui il fico era pegno». Un’altra volta, dacché vide sempre Cratete soffrire d’inverno, disse: «O Cratete, mi sembra che tu abbia bisogno di una veste nuova [kainou]» (questo era un gioco di parole per dire: di senno e [nou kai] di una veste). E quell’altro, sdegnato, lo censurò parodiandolo in questo modo:
Così, invero, vidi Stilpone molesti triboli tollerare
in Megara, ove professano di Tifone siano i covi,
e lì ragionava eristicamente, più compagni, dunque, si riunivano attorno a costui;
alla virtù con diatribe sul cambio di lettera ambendo, trascorrevano il tempo.
119 Si dice, dunque, che ad Atene colle sue lezioni ottenne una celebrità tanto singolare tra le persone che dalle botteghe accorrevano per vederlo. E quando qualcuno gli disse: «Stilpone, si meravigliano di te come di una bestia rara», rispose: «Nient’affatto, tutt’altro: come di un uomo vero». Essendo, dunque, molto alacre nell’eristica, aboliva anche le idee; asseriva anche che chi dice «uomo» non dice nessuno, allegando questo ragionamento: l’intelligibile non dice né questo singolo qui né quest’altro singolo. Perché, ecco, intendere questo qui anziché quest’altro? Dunque, l’intelligibile non ragiona neanche su questo qui. E il ragionamento ricomincia: «La verdura intelligibile non è questa che viene indicata, siccome la verdura intelligibile era prima di una miriade di anni fa, ragion per cui quella intelligibile non è questa verdura». Narrano dunque che egli, mentre stava conversando insieme a Cratete, così su due piedi s’affrettò ad andare a comprare del pesce; dacché quell’altro si preoccupava di trattenerlo dicendo: «Lasci derelitto questo ragionamento?», disse: «Io no, tutt’altro, ecco: il ragionamento lo tengo, mentre lascio derelitto te; perché, ecco, il ragionamento rimane ad aspettare, mentre la pietanza sarà venduta».
120 Di costui, dunque, si tramandano nove dialoghi alquanto freddi: Mosco, Aristippo o Callia, Tolemeo, Cherecrate, Metrocle, Anassimene, Epigene, A sua figlia, Aristotele. Eraclide afferma che ascoltò le sue lezioni anche Zenone, il fondatore della Stoa. Ermippo, dunque, racconta che trapassò da vecchio dacché aveva assunto del vino per morire più presto. V’è anche un nostro epigramma indirizzato a lui:
Il megarese Stilpone forse, dunque, conosci,
vecchiaia e poi malattia lo colsero, indistruttibile coppia di giogo;
d’altronde nel vino trovò un auriga più profittevole della mal assemblata pariglia;
avendo bevuto, si precipitò verso l’Ade.
Subì una presa in giro, infine, da parte del commediografo Sofilo, nel dramma Il matrimonio:
Questo ragionamento di Carino è come dei turaccioli di Stilpone.
La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.
Brano seguente: Diogene Laerzio su Critone, Simone, Glaucone, Simmia, Cebete (II, 121-125)