Diogene Laerzio su Senofane (IX, 18-20)
Diogene Laerzio su Senofane (IX, 18-20)
Ott 3118 Senofane di Dessio o, secondo Apollodoro, di Ortomeno, di Colofone, è oggetto della lode di Timone, giacché, ecco, favella così:
Senofane, dunque, sottratto al fumo, oppositore dell’inganno d’Omero.
Questi, esiliato dalla patria, trascorse la propria vita in Zancle di Sicilia e in Catania. Secondo alcuni, poi, non ascoltò le lezioni di nessuno, mentre secondo altri ascoltò Botone ateniese o – alcuni sostengono questa voce – Archelao. Secondo la fama diffusa da Sozione, era vivo già al tempo d’Anassimandro. Dunque, ha scritto in versi epici, ed anche elegie e giambi, avversi a Esiodo e Omero, opponendosi alle dichiarazioni di costoro per quel che concerne gli dei. Egli stesso recitava i suoi propri versi. Dunque, si dice che abbia delegittimato le dottrine avanzate da Talete e Pitagora, e che abbia visto di cattivo occhio anche Empedocle. Inoltre, fu molto longevo, e lui stesso professa questo in qualche luogo:
19 Sono dunque già sessantasette anni
che scarrozzzzo la mia coscienza per la terra d’Ellade;
dunque, dalla nascita ve ne sono venticinque con cui estendere questi,
se per davvero io so intelligere avvedutamente questi periodi.
Professa, dunque, che sono quattro gli elementi degli essenti, però i cosmi son infiniti, non alterabili comunque. Le nubi si costituiscono perché il calore generato dal sole si trasferisce in alto e le solleva nell’aria che v’ha attorno alla terra. L’essenza di Dio, sferoide, non ha nulla di simile all’umano: tutto intero guarda, tutto intero ode, salvo che non respira; è, or dunque, tutto quanto complessivamente, nous e sapienza, ed eterno. Per primo, dunque, dichiarò questo: che tutto quanto diviene presenta natura corruttibile e che la psiche è pneuma.
Dunque, professò anche che la più parte delle cose è sottomessa al nous, e che bisogna intrattenere relazioni coi tiranni o il più raramente possibile o il più soavemente possibile. 20 Dacché Empedocle lo provocò dicendo che il sofo è introvabile, professò: «Evidentemente, giacché, ecco, deve essere sofo eziandio il riconoscitore del sofo». Inoltre, Sozione, sbagliando, professa che costui fu il primo a evocare l’incomprensibilità di tutte quante le cose.
Poetò anche la Fondazione di Colofone e la Colonizzazione d’Elea d’Italia, in duemila versi. Ebbene, raggiunse l’acme nella sessantesima Olimpiade. Demetrio Falereo nella Perlustrazione della vecchiaia e Panezio lo stoico nella Perlustrazione della tranquillità dell’animo professano, poi, che questi tumulò i figli colle proprie mani, come per parte sua fece Anassagora. Si suppone, inoltre, che sia stato venduto come schiavo e sciolto dalla schiavitù dai pitagorici Parmenisco e Orestade, secondo la fama documentata da Favorino nel primo libro dei Memorabili. Nacque anche un altro Senofane, lesbio, poeta di giambi.
E questi son, appunto, gli «sparsi».
La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.
Brano seguente: Diogene Laerzio su Parmenide (IX, 21-23)