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Diogene Laerzio su Misone (I, 106-108)

Diogene Laerzio su Misone (I, 106-108)

Dic 26

Brano precedente: Diogene Laerzio su Anacarsi (I, 101-105)


106
Misone di Strimone, come professa Sosicrate, rifacendosi per questo a Ermippo, della gente di Chene, un villaggio da qualche parte nell’Eta o in Laconia, è contato tra i Sette. Professano anche che il padre di costui era un tiranno. Qualcuno propone inoltre la leggenda che, giacché Anacarsi evocò l’oracolo per sapere se qualcuno era più sofo di lui, la Pizia abbia risposto colle parole verbalizzate prima, nella vita di Talete, sopra Chilone:

Professo che qualcuno, Misone d’Eta in Chene,
meglio di te è armato d’un corpo di pensieri saggi.

Pieno di solerte pragmatismo, dunque, sarebbe andato in questo villaggio e avrebbe trovato questo Misone, d’estate, che attaccava una presa a un aratro. E avrebbe provocato: «Ma, o Misone, adesso è tutt’altro che ora di aratro». «Di molto», avrebbe revocato, «siamo già al dunque opportuno per ripararlo». 107 Altri, invece, professano che quest’oracolo avesse questa forma: «Professo che qualcuno, Eteo…», e cercano che cosa sia questo “Eteo”. Ebbene, Parmenisco afferma che è un demo della Laconia, donde era questo Misone. Sosicrate, poi, nelle Successioni, afferma che era eteo da parte di padre, da parte di madre, invece, cheneo. Eutifrone di Eraclide Pontico, da parte sua, professa che era cretese. Anassilaide, invece, lo dice arcade.

Menziona costui anche Ipponatte, evocando:

Ezinadio Misone, che Apollo
vocò il più sofo di tutti quanti gl’uomini.

Aristosseno, dunque, professa, negli Scritti sparsi, che costui non aveva una natura molto distante da quella di Timone e Apemanto, siccome era misantropo. Comunque, ecco, sarebbe stato adocchiato, in Lacedemone, occupato a ridere rimanendo ermo; 108 quando, all’istante, qualcuno gli si accostò e gli domandò perché, nonostante nessuno fosse presente, ridesse, avrebbe professato: «Appunto per questo». Aristosseno professa eziandio che in quel luogo non era decorato da fama, giacché non era di città, bensì di un villaggio, e, oltre a questo, oscuro. Onde, offrendosene il destro per questo anonimato, alcuni attribuiscono al tiranno Periandro eziandio i fatti e le dottrine di costui, tranne Platone il filosofo. Ecco, infatti, che eziandio quest’ultimo lo menziona nel Protagora, rifacendosi a costui anziché a Periandro.

Professava che bisogna cercare non le realtà scegliendo dalle parole, bensì le parole scegliendo dalle realtà, siccome le realtà non conseguono dalla legislazione delle parole, bensì le parole dalla legislazione delle realtà.

Trapassò, dunque, dopo esser vissuto sino all’età di novantasette anni.

La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.

Brano seguente: Diogene Laerzio su Epimenide (I, 109-115)


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