Temi e protagonisti della filosofia

Diogene Laerzio su Euclide di Megara (II, 106-112)

Diogene Laerzio su Euclide di Megara (II, 106-112)

Lug 10


106 Euclide proveniva da Megara, presso l’Istmo, o da Gela, secondo alcuni: così afferma Alessandro nelle Successioni dei diadochi dei filosofi. Costui aveva dimestichezza anche con gli scritti parmenidei, e i proseliti da lui aggregati erano chiamati megarici, dopodiché eristici, dopo ancora dialettici; Dionisio calcedonio per primo denominò costoro in questo modo, per questo fatto: disponevano i loro ragionamenti procedendo con questioni e risposte, dialogando. Ermodoro afferma che presso costui giunsero Platone e i rimanenti filosofi dopo il trapasso di Socrate, giacché temevano la crudeltà dei Tiranni. Costui dichiarava che il bene è singolo, ma è chiamato con più nomi: talora, infatti, è articolato come saggezza, talaltra come Dio, e qualche altra volta anche come nous, e così via. Le realtà opposte al bene, invece, le eliminava, professando che non sono.

107 Contrastava, dunque, le apodissi in connessione colla conclusione anziché in connessione coi lemmi. Eliminava anche il discorso per analogia, argomentando che questo si costituisce o con coefficienti di parole simili o con coefficienti di parole dissimili; così, se emerge da simili, è meglio rivolgersi alle realtà per sé piuttosto che a quelle cui sono simili; se, d’altronde, emerge da dissimili, questa approssimazione dei coefficienti esce dal solco. Per l’attrito con queste prospettive, dunque, Timone diffama anche costui in questi versi, mordendo, appresso a lui, anche gli altri socratici:

D’altronde non mi cale molto di questi chiacchieroni, e neanche di alcun altro,
non di Fedone – chiunque fosse – e neanche dell’eristico
Euclide, che nei Megaresi istillò la rabbia eristica.

108 Scrisse, dunque, sei dialoghi: Lampria, Eschine, Fenice, Critone, Alcibiade, Erotico. Tra i diadochi di Euclide v’è anche Eubulide milesio, che allestì molti ragionamenti in forma dialettica, scegliendo di discuterli come quesiti: il Mentitore, il Latente, l’Elettra, il Velato, il Sorite, il Cornuto ed il Calvo. Qualcuno dei comici diffama costui con queste parole:

Dunque, l’eristico Eubulide, che chiedeva di cornuti
e con ingannevoli ragionamenti i retori confondeva,
si assentò portandosi via la ciancia colla r moscia di Demostene.

Sembra, infatti, che anche Demostene sia stato discepolo di costui e che con lui sia stato capace di smettere di pronunciare male la r. 109 Eubulide, d’altronde, si differenziava anche dalle prospettive di Aristotele, e ha dissentito da lui in più punti.

Occupandoci dunque dei diadochi di Eubulide, tra gli altri v’era Alessino di Elide, uomo cui era molto congeniale la contesa; per questa ragione era chiamato anche Elessino. Si differenziava soprattutto dalla prospettiva di Zenone. Per quanto concerne costui, dunque, Ermippo narra che, allontanatosi da Elide in direzione di Olimpia, esercitò la filosofia in questo stesso luogo. Quando i suoi discepoli domandarono perché dimorasse in questa località, dichiarò che voleva costituire una scuola che si sarebbe chiamato Olimpica. Costoro, dunque, tanto perché oberati dalle eccessive spese quanto perché notarono la natura malsana del territorio, disertarono, così Alessino rimase derelitto per il resto dell’esistenza, insieme a un solo domestico; infine, mentre nuotava nell’Alfeo, fu trafitto da una canna e per questa offesa trapassò.

110 E v’è un nostro componimento indirizzato a costui, di questo tenore:

Invece, ecco, quello non era un mito scombinato,
secondo cui qualcuno di disgraziato nuotando
trapassato ebbe il piede come da un chiodo.
E infatti, ecco, quest’uomo venerando,
Alessino, prima d’essersi portato dall’altra parte dell’Alfeo,
morì offeso da una canna.

Scrisse, dunque, non solamente contro le prospettive di Zenone, ma anche altri libri; tra questi, uno contro lo storiografo Eforo.

Eubulide, dunque, è stato ascoltato anche da Eufanto di Olinto, che ha scritto una narrazione storica concernente i suoi tempi. In più poetò molte tragedie, colle cui rappresentazioni fece una degna figura nel contesto degli agoni. Fu anche maestro del re Antigono, per il quale scrisse anche una lezione pertinente alla regalità che è degna di grande considerazione. Concludendo, ha lasciato la vita dacché vecchio.

111 Vi sono, dunque, anche altri che hanno ascoltato le dissertazioni di Eubulide; tra costoro occorre anche Apollonio Crono, di cui fu discepolo Diodoro figlio di Aminia, di Iaso, chiamato anch’egli Crono, per quanto concerne il quale Callimaco negli Epigrammi dice:

Lo stesso Momo
scriveva sui muri: «Crono è sofo».

Anche costui, dunque, era un dialettico, che alcuni privilegiano come inventore dell’argomento del Velato e di quello del Cornuto. A costui, mentre soggiornava presso Tolomeo Soter, furono proposti sotto forma di quesito alcuni discorsi dialettici da parte di Stilpone; dunque, giacché non riusciva a risolverli prestamente, tra l’altro fu oggetto di disapprovazione da parte del re e così meritò il soprannome di Crono in senso di motteggio. 112 Dopo esser uscito dal simposio e aver scritto una lezione pertinente a questo problema, per lo scoramento lasciò la vita. V’è anche un nostro componimento indirizzato a costui:

Crono Diodoro, quale dei demoni con una cattiva
depressione ti avvinse,
provocandoti a gettarti da te stesso nel Tartaro
per non aver risolto di Stilpone le parole
enigmatiche? Davvero, ecco, ti sei rivelato Crono,
eccettuate la r e la c [onos: asino].

È stato formato da Euclide anche Ittia figlio di Metallo, uomo nobile, per il quale anche Diogene il cinico compose un dialogo; suo discepolo fu anche Cleonimo di Teo, che per primo scrisse una perlustrazione sulle proposizioni, sui predicati e su argomenti vicini a questi; lo ascoltò anche Stilpone megarese, filosofo distintissimo, pertinentemente al quale bisogna adesso discorrere.

La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.

Brano seguente: Diogene Laerzio su Stilpone (II, 113-120)


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