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Diogene Laerzio su Demetrio Falereo (V, 75-85)

Diogene Laerzio su Demetrio Falereo (V, 75-85)

Mag 01



Brano precedente: Diogene Laerzio su Licone (V, 65-74)

75 Demetrio di Fanostrato, Falereo. Costui, da una parte, udì Teofrasto; dall’altra, parlando con oratoria coltivata agli Ateniesi nell’agorà, esercitò l’egemonia su questa polis per dieci anni, e fu celebrato con trecentosessanta simulacri bronzei; la più parte di questi artefatti erano equestri o lo rappresentavano sul carro o con una pariglia; furono assemblati in nemmeno trecento giorni; tanta considerazione ottenne. Dunque, Demetrio di Magnesia negli Omonimi afferma che costui cominciò a politicare allorquando Arpalo, fuggendo da Alessandro, giunse in Atene. Compì, dunque, molte e belle cose per la patria politicando. Difatti, ecco, procedette ad aumentare sia proventi sia costruzioni per la polis, anche se non era dell’ordine gentile. 76 In effetti, ecco, era della famiglia di Conone, così come è riferito da Favorino nel primo libro dei Memorabili; peraltro abitava assieme all’amata Lamia, ch’era cittadina e bennata, così come afferma sempre quest’ultimo nel primo libro; d’altronde, nel libro secondo, avvisa che subiva anche il fascino di Cleone. Didimo inoltre, nei Discorsi simposiaci, dice anche che egli era chiamato Palpebra Graziosa e Lampa da qualche etera. Si dice poi che, dopo aver perso la vista in Alessandria, egli la recuperò per opera di Serapide; sicché poetò anche i peani cantati sino ad oggi. Ebbene, era singolarmente illustre presso gli Ateniesi; a dispetto di ciò, anche lui fu oscurato dall’invidia edace cui tutto quanto soccombe. 77 Infatti, ecco, occorsogli di subire una congiura ordita da alcuni, fu condannato a morte in un processo in absentia. Dacché non cavarono il possesso del suo corpo, come alternativa vicaria ruttarono la bava virulenta sul bronzo, avendo tirato giù gli artefatti che lo effigiavano: alcuni li vendettero, mentre altri li affondarono, degli altri ancora li disarticolarono in modo che i detriti costituissero vasi da notte (la leggenda, ecco, vuole anche questo). Rimane, dunque, conservata una singola statua, nell’Acropoli. Favorino comunque professa, nella Storia Varia, che gli Ateniesi fecero questo siccome lo ordinò loro Demetrio, il re; ascrissero anche all’anomia i suoi anni d’arcontato, come osserva Favorino.

78 Ermippo, dunque, afferma che costui, dopo la morte di Cassandro, impaurito da Antigono, si recò presso Tolemeo Soter; ecco che, trattenendosi qui per un discreto periodo di tempo, consigliò a Tolemeo, insieme agli altri provvedimenti, anche di effettuare l’incoronazione dei figli avuti da Euridice. Siccome questi diffidò, e per converso tramandò il diadema all’altra scelta, al figlio avuto da Berenice, a quest’ultimo, appresso alla morte del Soter, sembrò opportuno tenerlo d’occhio nella campagna sinché non avesse scelto che cosa convenisse fare di lui. In quest’inazione il suo vissuto sfumò nella disperazione; così, morso sulla mano da un aspide, come assopito abbandonò la vita. Ed è tumulato nel distretto di Bisanzio, vicino a Diospoli.

79 Anche per costui noi abbiamo scritto un epigramma, questo:

Un aspide uccise il sofo Demetrio,
riempito di molto veleno
impuro, non facente splendere giorno dagli occhi,
tutt’altro: tenebra da Ade.

Eraclide, dunque, nell’Epitome delle “Successioni dei diadochi”, enuncia che Tolemeo voleva cedere il regno al Filadelfo; questo Falereo, dunque, l’avrebbe stornato da questo dicendo: «Se lo dai a un altro, non l’avrai tu». E quando fu offeso dai sicofanti in Atene (ecco, rammento anche questo), Menandro il poeta comico per poco non venne incriminato, per nessun’altra ragione discriminante se non questa: che era suo amico. Peraltro lo protesse Telesforo, il cugino di Demetrio Poliorcete.

80 Ordunque, per la pletora di libri e in armonia con il numero di stichi costui prevalse in alacrità nell’insieme dei Peripatetici suoi contemporanei, essendo così colto come più esperto in paragone a chiunque; di questi libri alcuni sono storici, mentre altri politici, degli altri pertinenti ai poeti, degli altri ancora retorici; redasse raccolte assemblando sia demegorie sia una serie di discorsi pronunciati in contesto diplomatico, ma anche favole esopiche, e una pluralità d’altre composizioni. Sono dunque queste:

  • Sulla legislazione d’Atene, libri I, II, III, IV, V,
  • Sulle costituzioni d’Atene, libri I-II,
  • Sulla demagogia, libri I-II,
  • Sulla politica, libri I-II,
  • Sulle leggi, un libro,
  • Sulla retorica, libri I-II,
  • Perlustrazione della strategia, libri I-II,
  • 81 Sull’‘Iliade’, libri I-II,
  • Tolemeo, un libro,
  • Un libro sull’erotica,
  • Fedonda, un libro,
  • Medone, un libro,
  • Cleone, un libro,
  • Socrate, un libro,
  • Artaserse, un libro,
  • Un libro di perlustrazioni omeriche,
  • Aristide, un libro,
  • Aristomaco, un libro,
  • Protrettico, un libro,
  • Sulla repubblica, un libro,
  • Sul decennio, un libro,
  • Sugli Ioni, un libro,
  • Ambascerie, un libro,
  • Sulla fedeltà, un libro,
  • Sulla gratitudine, un libro,
  • Sulla tyche, un libro,
  • Sulla psiche magnanima, un libro,
  • Sul matrimonio, un libro,
  • Sulla doxa, un libro,
  • Sulla pace, un libro,
  • Sulle occupazioni, un libro,
  • Sul kairos, un libro,
  • Dionisio, un libro,
  • Calcidico, un libro,
  • Sull’attacco degli Ateniesi, un libro,
  • Su Antifane, un libro,
  • Proemio storico, un libro,
  • Epistole, un libro,
  • L’ecclesia giurata, un libro,
  • Intorno alla vecchiaia, un libro,
  • Cose giuste, un libro,
  • Un libro di favole esopiche,
  • Un libro di crie.

82 Il carattere filosofico, dunque, vi è mescolato con la tensione e il dinamismo retorici. Quando udì che gli Ateniesi avevano rovesciato le sue effigi, egli sentenziò: «D’altronde non hanno fatto questo anche all’aretè, per la quale le hanno istallate». Diceva che le ciglia non meritano d’essere neglette in quanto piccola parte, siccome possono oscurare l’intera vita. Professava che non è cieca solo la ricchezza, ma altrettanto la Tyche che guida questa. Considerazione: quanto potere ha in guerra il ferro, altrettanto ne ha in politica l’intelletto. Quando una volta vide un giovane intemperante, disse: «Ecco, si vede un Ermes tetragono, con tanto di strascico, pancia, pudenda, barba». Degli uomini vanamente superbi professava che bisogna prendere l’altezza, e lasciare, di contro, che permanga loro la presunzione. Affermò che occorre che i giovani a casa onorino i genitori, per via coloro che incontrano e infine, da ermi, se stessi. 83 Gli amici, nell’ambito di occorrimenti magnifici, s’assentano perché li si invita chiaramente ad agire così, occorrendo sfortune, dissimilmente, lo fanno automaticamente. Queste massime, insomma, i documenti riferiscono di costui.

Ebbene, son nati venti Demetrio degni di menzione. Per primo uno di Calcedonia, retore e più vecchio di Trasimaco; secondo, costui; terzo, un bizantino, peripatetico; quarto, uno chiamato Grafico, chiaro nell’esporre il discorso: costui, dunque, era anche pittore; quinto, uno di Aspendo, discepolo di Apollonio di Soli; sesto, uno di Callati, che ha scritto venti libri per quanto concerne Asia ed Europa; settimo, un bizantino, che in uno scritto in tredici libri ha discusso l’avvento dei Galati emigrati dall’Europa in Asia e in altri otto ha perlustrato le azioni compiute da Antioco e Tolemeo e discusso l’amministrazione della Libia sotto costoro; 84 ottavo, il sofista che ha insegnato in Alessandria, scrittore di dispense di tecnica retorica; nono, uno di Adramitto, grammatico, chiamato Issione perché offrì il destro alla diffamazione che avesse commesso qualcosa d’ingiusto contro Era; decimo, un cireneo, grammatico, quello chiamato Stamno, uomo degno di menzione; undicesimo, uno di Scepsi, ch’era uomo ricco e bennato ed anche intelletto acutissimamente innamorato dei ragionamenti: costui divenne promotore anche del concittadino Metrodoro. Dodicesimo, un grammatico d’Eritrea, iscritto tra i cittadini in Temno; tredicesimo, uno di Bitinia, figlio di Difilo lo stoico, discepolo, d’altra parte, di Panezio il rodio; quattordicesimo, un retore smirneo. 85 E questi intellettuali son prosatori. Dunque, i poeti: primo, uno che ha poetato nella Commedia Antica; secondo, un poeta epico: di costui rimane salvo solo questo rimprovero proferito contro gli invidiosi:

Dopo averlo stimato indegno da vivo, lo piangono da morto;
ed ecco che oggi sopra la tomba e l’idolo non respirante
il conflitto ha ottenuto via libera in città, in contesa dunque resta il popolo.

Terzo, uno di Tarso, scrittore satirico; quarto, uno che ha scritto giambi, uomo pungente; quinto, uno scultore: Polemone menziona costui; sesto, uno di Eritrea, un uomo che ha scritto composizioni variegate, che ha composto eziandio libri così storici come retorici.

La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.


Bramo seguente: Diogene Laerzio su Eraclide Pontico (V, 86-94)



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