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Diogene Laerzio su Chilone (I, 68-73)

Diogene Laerzio su Chilone (I, 68-73)

Gen 09

68 Chilone di Damageto, lacedemonio. Questi poetò elegie insino a duecento versi, e professò che la previdenza per il futuro, colta con il ragionamento, è virtù per l’uomo. Questi, dunque, provocò il germano, che soffriva per non esser divenuto eforo, mentre lui stesso lo era, dicendo questo: «Ecco che io resisto all’oppressione dell’ingiustizia, tu invece no». Fu eforo, dunque, durante la cinquantacinquesima Olimpiade – Panfile invece professa che lo fu durante la sesta, e che fu il primo eforo –, quando ottenne l’arcontato Eutidemo, come vuole Sosicrate. Inoltre per primo esigette che gli efori fossero congiunti ai re; Satiro, invece, dice che fu Licurgo.

Questi, come professa Erodoto nel primo libro, consigliò a Ippocrate, che sacrificava in Olimpia mentre i lebeti bollivano automaticamente, di non sposarsi o, se avesse moglie, di ripudiarla e di misconoscere i figli. 69 Professano eziandio che costui abbia domandato a Esopo di rappresentargli che cosa Giove stesse facendo; questi dunque avrebbe risposto: «Umilia quel ch’è elevato ed eleva quel ch’è umile». Quando gli fu chiesto in che cosa differiscano i colti dagli incolti, favellò così: «Nelle buone speranze». Che cosa è difficile? «Questo: tacere le cose da non verbalizzare, fare buon uso del tempo disponibile e riuscire a soffrire la condizione d’ingiustizia». Prescrisse, dunque, eziandio queste lezioni: dominare la lingua, e al meglio in un simposio. Non parlare male dei vicini; se no, si udranno offese che addoloreranno; non minacciare nessuno, siccome è una provocazione da donna. 70 Portarsi più in fretta verso gli insuccessi degli amici che non verso i successi. Fare uno sposalizio tranquillo. Non parlar male dell’estinto. Onorare la vecchiaia. Custodire se stesso. Scegliere una perdita piuttosto che un guadagno abominevole: siccome l’una addolora in una singola occasione, l’altro, invece, perpetuamente. Non deridere uno sfortunato. Essere miti se si è vigorosi, cosicché i vicini abbiano rispetto piuttosto che paura. Imparare a provvedere acconciamente alla propria casa. La lingua non precorra l’intelletto. Dominare i fumi dell’impulsività. Non osteggiare la mantica. Non desiderare obiettivi impossibili. Non affrettarsi nell’incedere. Parlando non concitare la mano, siccome è da pazzi. Fedeltà alla legge. Usare calma.

71 Ecco, dunque, l’ode reputata più degna tra quelle di costui:

Nella punta d’acuta pietra l’oro s’esamina,
dando garanzia palese;
nel kairos, invece,
dà riscontro l’intelletto
degli uomini tanto buoni quanto cattivi.

Professano, dunque, che costui, quando era già vecchio, disse di non aver ravvisato alcunché d’anomico in vita sua; restava in dubbio, però, su una singola occorrenza. In una certa occasione, quando giudicava, costui condannò un amico, secondo la legge, ma convinse gli altri ad assolverlo, per salvare comunque entrambi, sia l’amico sia la legge.

Divenne dunque molto illustre presso gli Elleni soprattutto per aver offerto una predizione su Citera, l’isola della Laconia, siccome, comprendendo la natura di quest’ultima, favellò così: «Se solo non fosse nata, o, dacché è nata, s’inabissasse». Eccome se previde bene. 72 Ecco infatti che Demetrio, essendo profugo esiliato dai Lacedemoni, consigliò a Serse di raccogliere le navi nei pressi di quest’isola; e l’Ellade sarebbe stata presa, se Serse si fosse fidato. Posteriormente, dunque, Nicia, occorrendo le vicende del Peloponneso, conquistata l’isola, vi stabilì una guardia di Ateniesi, e fece ai Lacedemoni copiosissimi danni.

Era, dunque, un ingegno brachilogico; per questo eziandio Aristagora il milesio chiama questo tropo «chiloniano». <*> Era discendente di Branco, che fondò il santuario in Branchide. Era dunque già vecchio nel periodo della cinquantaduesima Olimpiade, quando il favolista Esopo coglieva l’acme. Morì dunque, come professa Ermippo, in Pisa, dopo aver abbracciato il figlio giacché vincitore olimpico di pugilato. A provocare, dunque, questa sciagura fu l’iperbole di gioia e l’infermità dell’età piena d’anni. E tutti i congregati della festa accompagnarono costui in processione funebre nella maniera più onorevole.

Vi è dunque anche un nostro epigramma indirizzato a costui:

73 A te, Polluce, offrente luce, rendo grazie, giacché il figlio
di Chilone in pugilato conquistò il verde alloro.
Se dunque il padre, visto il figlio coronato, morì di soavezza,
non bisogna disapprovare: da me sia subita tale morte.

Sull’effige di costui, dunque, s’ostende questo epigramma:

Coronata di lance Sparta partorì questo Chilone,
che dei Sette Sofi primo fu in sofia.

Pronunciò l’apoftegma: «Dai garanzia, e s’appressa la rovina». Di costui è eziandio questa epistola:

«Chilone a Periandro.

Ci enunci epistolarmente di voler istrurre l’esercito fuori dal tuo dominio, dicendo eziandio che tu stesso uscirai nella spedizione. Io, dunque, penso che eziandio il proprio paese sia malsicuro per un monarca, e penso sia documentabile la felicità di colui che, tra i tiranni, nel suo paese riesca a morire di morte naturale».

La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.

Brano seguente: Diogene Laerzio su Pittaco (I, 74-81)


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