Temi e protagonisti della filosofia

Diogene Laerzio su Bione (seconda parte: IV, 51-58)

Diogene Laerzio su Bione (seconda parte: IV, 51-58)

Set 18

Brano precedente: Diogene Laerzio su Bione (prima parte: IV, 46-51)


Costui, da principio, privilegiò le teorie accademiche, nel tempo in cui udì Cratete; poi cominciò ad obbedire all’agire cinico, prendendo il mantello e la bisaccia. 52 Ecco, per quale altra ragione costui si sarebbe convertito all’apatia? Dopodiché passò a occuparsi dei ragionamenti teodorei giacché aveva udito le lezioni di Teodoro l’ateo, che era un eletto sofista nel ragionare su ogni veduta; dopo questo, udì le lezioni di Teofrasto il peripatetico.

Dunque, era anche teatrale e praticava la completa distruzione di ogni riferimento nel ridicolo, servendosi di denominazioni volgari per riferirsi ai suoi oggetti. Dunque, allegando questa disposizione di usare ogni specie di linguaggio, affermano che Eratostene abbia detto che Bione per primo fece indossare alla filosofia vesti fiorite. In effetti presentava anche un’artisticità innata nel parodiare: per esempio, sono sue queste provocazioni:

O dolce Archita, nato dal suon della cetra, felice nel tuo orgoglio,
il più esperto tra tutti gli uomini nella disputa sulla corda sottana della lira.

53 Così dileggiava in toto tanto la musica quanto la geometria.

Dunque, era pieno di sollecitudine per lo sfarzo, e per questa disposizione migrava da polis a polis, scegliendo in qualche occasione delle tecniche fantasiose. Ecco un esempio: a Rodi persuase i nauti a indossare vestiti da scolari e a seguirlo; quando entrò assieme a costoro nel ginnasio, fu ammirato da tutti. Era suo costume, inoltre, adottare dei giovinetti in modo da ottenerne vantaggi tanto in vista dei piaceri quanto al fine di essere successivamente protetto dalla benevolenza di costoro; ma era anche molto egoista e insisteva più volte su questa massima: comuni i beni degli amici. Per questo nessuno menziona d’esser stato suo discepolo, nonostante tanti si siano aggregati alla sua scuola; anzi, in alcuni provocò un agire impudente. 54 Ecco dunque un esempio di questo: si narra che una volta Bitione, uno dei suoi discepoli, abbia provocato Menedemo così: «Toh, io, o Menedemo, di notte sto insieme a Bione, e non mi sembra per nulla indecoroso fare questo». Proferiva anche commenti piuttosto empi contro gli dei davanti ai suoi frequentatori, in questo rimanendo nel solco di Teodoro.

Dopodiché, quando cadde malato, come affermavano gli abitanti di Calcide (siccome è qui che trapassò), si lasciò persuadere a prendere degli amuleti e a notificare la ripulsa delle offese in merito al divino. D’altronde, non essendovi supporto nosocomiale, era ridotto in uno stato terribile, sinché Antigono non gl’inviò due servitori. Ed ecco, accompagnava quest’ultimo in una portantina; questa fama è riferita da Favorino nella Storia varia. D’altronde, nonostante questo, trapassò; anche noi lo abbiamo biasimato, in questo modo:

55 Bione, che dalla terra scitica di Boristene fu partorito,
udiamo dire che delegittimava l’essere ontologico degli dei.
Così, se fosse rimasto fermo in questo dogma, sarebbe stato legittimo
dire: «Pensava come desiderava; dottrina certamente sbagliata, ma d’altronde era la sua dottrina».
Dipoi invece, caduto in una lunga malattia e temendo di morire,
costui, che delegittimava l’essere degli dei, che giammai aveva visitato un tempio,
56 che riempiva di celie i mortali che agli dei sacrificavano,
non solo sopra focolare, altari e tavola
con profumo, grasso, incensi intasò i nasi degli dei,
e non solo invocò: «Mi sono sbagliato; perdonate i misconoscimenti di prima», ma
altresì a un vecchio offrì prontamente la gola per un incantesimo
e, affidatosi, con cinture le braccia s’avvinse;
56 eziandio un ramo, dunque, assieme a un fuscello d’alloro sopra la porta pose,
essendo pronto a sobbarcarsi qualsiasi servizio piuttosto che a morire.
Stolto, che desiderò che in cambio di qualche remunerazione il divino fosse essente,
come se gli dei fossero essenti quando Bione desidera credere.
Ecco che, invano rinsavendo, quando lo sciocco era tutto quanto un carbone,
la mano tendendo, pressoché così vocò: «Salve, salve, Plutone!».

58 Son nati, dunque, dieci Bione. Primo: quello che raggiunse l’acme simultaneamente a Ferecide di Siro; di costui si tramandano due scritti in ionico; è, d’altronde, uno del Proconneso. Due: un siracusano che ha scritto trattati tecnici di retorica. Terzo: questo nostro. Quarto: un democriteo, mente scientifica, abderita, che ha scritto in attico e in ionico; costui per primo asserì che vi sono alcune località in cui s’ingenerano sei mesi di notte e sei di giorno. Quinto: uno di Soli, che ha composto una monografia sull’Etiopia. Sesto: uno che si occupava di retorica; di costui si tramandano nove libri intitolati Muse. Settimo: un poeta melico. Ottavo: uno scultore milesio; anche Polemone menziona costui. Nono: un poeta di tragedie, di quelli detti di Tarso. Decimo: uno scultore di Clazomene o di Chio; anche Ipponatte menziona costui.

La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.

Brano seguente: Diogene Laerzio su Lacide (IV, 59-61)


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