Diogene Laerzio su Biante (I, 82-88)
Diogene Laerzio su Biante (I, 82-88)
Gen 30
Brano precedente: Diogene Laerzio su Pittaco (I, 74-81)
82 Biante di Teutamo, nato a Priene; Satiro lo discernette primo dei sagaci Sette. Se da un lato alcuni sostengono che costui fosse ricco, dall’altro Duride professa che era perieco in questa villa. Fanodico, dunque, comunica che, dopo aver riscattato delle ragazze prigioniere di Messene, le crebbe come figlie e procurò loro l’occorrente per la dote, e così le inviò a Messene dai padri di queste. Successivamente, dunque, quando in Atene, come è stato prima verbalizzato, fu ritrovato il tripode dai pescatori, quello bronzeo, recante l’epigrafe «al sofo», Satiro professa che queste ragazze – secondo degli altri, invece, i padri di costoro, come eziandio Fanodico – andarono nell’ecclesia e vocarono sofo Biante, dopo aver raccontato questi casi concretizzatisi per loro. E così il tripode fu inviato a lui; comunque Biante, vedutolo, professò che sofo era Apollo, dunque non lo prese. 83 Degli altri dicono che, in Tebe, costui fece offerta di questo tripode a Ercole, dacché era discendente dalla genia dei Tebani, che avevano inviato un collegio colonizzatore nella villa di Priene, come eziandio Fanodico professa.
Si dice eziandio che, quando Aliatte stava assediando la polis di Priene, Biante, dopo aver impinguato due muli, li spinse nell’accampamento costruito dal nemico; costui, dunque, vedutili, fu conturbato nel cogliere che la prosperità di questi assediati s’estendeva finanche agli esseri non intelligenti. Così volle sponsorizzare una tregua, e inviò un legato. Biante, però, dopo aver effuso dei mucchi di sabbia e aver diffuso dall’alto, dappertutto intorno, del grano, li indicò a quest’uomo; così, al termine della dimostrazione, Aliatte rispose promuovendo la pace col consorzio di Priene. Biante dunque biasimò costui, che gli aveva inviato troppo celermente un nunzio affinché andasse presso di lui, così: «Io, da parte mia, invito Aliatte a mangiare cipolle [ovvero a piangere]». 84 Lo si magnifica eziandio dicendolo legale di genio, bravissimo avvocato; prefiggendosi, ovviamente, il bene ti utilizzava il vigore di queste orazioni legali. Quindi eziandio Demodoco di Lero allude enigmaticamente a questa leggendarietà, dicendo:
Se incappi in alcune accuse, in giudizio di’ l’arringa di Priene.
Così Ipponatte, 1:
Così in giudizio arringare meglio di Biante di Priene.
Continuando, trapassò in questo modo. Ecco, allegò una difesa giudiziaria su qualcuno, quando ormai era soggetto alla sovranità della vecchiaia avanzata, e, dopo il posare di questo discorso legale, inclinò il capo sul grembo del figlio della figlia; così, dopo che ebbe discettato anche l’avvocato della controparte e i giudici ebbero infilato nell’urna il voto supportante la parte soccorsa da Biante, scioltasi la corte, fu rinvenuto cadavere in grembo. 85 Così la polis lo seppellì con magnificenza, e scrisse quest’epigrafe:
Nei gloriosi domini della tribù Priene nato, cela
questa pietra Biante, ornamento per gli Ioni magno.
Noi altresì diciamo così:
In questa cogitazione custodisco Biante, che non tremando Ermete recò
in Ade, nel pallido capo da senescenza innevato.
Disse, ecco, l’avvocato disse l’arringa per un qualche sodale; dunque, reclinato
in braccio a un ragazzo, estese un lungo sonno.
Poetò anche per quanto concerne la Ionia, descrivendo in quale modo potesse meglio provocare la propria felicità, in diecimila versi. Tra le sue odi, dunque, è stata decorata dal successo questa:
Coi cittadini armonizzati tutti
nella polis in cui permani:
ecco, quest’armonia causa la più piena gratitudine;
d’altronde un contegno spocchioso di malefica
sciagura più volte lampa.
86 Se da un lato il divenire vigoroso di fisico sarebbe opera della natura, dall’altro il saper enunciare le lezioni conferenti alla patria sarebbe compito della psiche e dell’assennatezza. Un generoso apporto di ricchezze per più singoli sarebbe imputabile anche alla diffusione casuale. Enunciava dunque queste lezioni: sfortunato è l’insofferente della sfortuna; morbo della psiche è il desiderare le cose impossibili, comunque un male alienante è l’essere smemorato. Richiesto di dire che cosa è difficoltoso, professò: «Sopportare generosamente il cambiamento verso l’occorrenza del peggio». Dunque, quando navigò insieme a degli empi, siccome, preoccupati giacché la nave era sconquassata dalla bufera invernale, quelli chiamavano gli dei, biasimò così: «Zittitevi dunque, onde non odano che voi state navigando qui». Allorché gli fu chiesto da un uomo empio che cosa sia dunque la pietà, zittì. Dunque, dacché costui gli domandò la causa di questo zittire, lo biasimò così: «Zittisco perché domandi cose che non ti riguardano per nulla».
87 Quando gli fu chiesto che cosa è dolce per gli uomini, professò: «La speranza». Diceva che è più soave ricomporre una disputa legale tra nemici che tra amici, per la ragione, ecco, che, degli amici, l’uno o l’altro dopo sarà sempre nemico, mentre, dei nemici, uno dei due diverrà amico. Quando gli fu chiesto facendo che cosa una persona si rallegra, professò: «Guadagnando». In più, impartiva questa lezione: bisogna misurare la vita in questo modo, come se dovessimo vivere così molto come poco tempo, e così amare come se dovessimo eziandio odiare; eccone la ragione: i più sono malvagi. Consigliava, dunque, questo. Lentamente imprendi le azioni che vuoi praticare; d’altronde divieni fermo nel permanere nella decisione già presa. Non parlare in fretta, eccone la ragione: questo fenomeno indica mania. Ama l’assennatezza. 88 Per quanto concerne gli dei, scegli di dire che vi sono. Non ossequiare un uomo indegno ben disponendotici per la sua ricchezza. Prendi avendo prestato, senza violenza. Imputa gli dei di qualunque beneficio possa mai praticare. Assumi la sofia qual viatico offerto all’incedere dalla giovinezza alla vecchiaia, eccone la ragione: questo diviene più sicuro degli altri possessi.
Menziona Biante eziandio Ipponatte, com’è stato precedentemente verbalizzato; così il difficilmente accontentabile Eraclito ha ossequiato costui al meglio, avendo scritto: «In Priene Biante nacque da Teutamo; la legittimazione di questo fu più piena di quella degli altri». I concittadini di Priene, dunque, gli consacrarono un tèmenos, scegliendo di chiamarlo “il Teutameio”. Suo l’apoftegma: «I più son malvagi».
La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.
Brano seguente: Diogene Laerzio su Cleobulo (I, 89-93)