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Quine e il Gavagai tra linguaggio e ontologia

Quine e il Gavagai tra linguaggio e ontologia

Mag 17

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Da qualche post stiamo seguendo due strade parallele: la nascita della filosofia analitica e della filosofia del linguaggio e il rapporto critico di alcuni filosofi con la metafisica.

Secondo la concezione del “significato come verificazione” del circolo di Vienna, il significato (Sinn) di una proposizione è il fatto che le corrisponde nell’esperienza. Le proposizioni della metafisica, non avendo corrispondenza in fatti dell’esperienza, sono insignificanti conoscitivamente (Unsinnig) ma hanno il ruolo di semplici manifestazioni artistiche o espressioni di stati d’animo.

La prima difesa arriva da Popper, che puntualizza che la stessa argomentazione può essere applicata allo stesso principio del significato come verificazione, che a sua volta non è verificabile dal confronto con l’esperienza. Kuhn invece rivaluta il ruolo della metafisica come fattore determinante nella nascita delle teorie scientifiche con la concezione dei paradigmi metafisici.

Abbiamo visto quindi come i due attacchi al principio di verificazione ne minimo il suo fondamento e il ruolo attribuito alla metafisica che ne consegue. Quine, sulla scia della critica ai due presupposti dell’empirismo nell’opera “I due dogmi dell’empirismo”, critica ancora più alla base la concezione del significato come verificazione, arrivando alla conclusione che

riferimento e quindi significato non possono essere univocamente determinati, perchè la nostra verifica empirica sottende una particolare ontologia

ovvero, per dirla in altro modo, la nostra ontologia è sottodeterminata al controllo empirico.

Cerchiamo di capire come Quine arriva a queste conclusioni.

Il Gavagai e il problema della traduzione radicale

Nell’opera “Parole e Oggetto”, Quine porta come argomentazione un esperimento mentale.

Prendiamo un indigeno e un linguista intento a tradurre la lingua dell’indigeno. Passa un coniglio, e l’indigeno grida:

GAVAGAI!

Il linguista ritiene quindi che alla parola Gavagai corrisponda il “fatto” coniglio.

Ma, come Quine rileva,

chi ci dice che gli oggetti cui il termine si applica siano proprio conigli, anzichè semplici stadi, o piccoli segmenti temporali di conigli? In entrambi i casi, infatti, le situazioni stimolo che ci inducono ad assentire a “Gavagai” sarebbero le stesse che per “coniglio”.

ovvero il linguista

passa alla conclusione che un gavagai è un coniglio intero e perdurante

presupponendo quindi che l’indigeno abbia la stessa ontologia, gli stessi schemi concettuali nostri.

Che cosa significa tutto questo?
Che quando riferiamo un enunciato e delle sue parti all’esperienza presupponiamo un’ontologia, che viene prima e fonda la verifica empirica.

Fondare quindi verità o falsità di una proposizione sulla verifica empirica non tiene conto che la stessa verifica ha dei presupposti concettuali, ontologici determninati ad esempio dai recettori sensoriali, ma non solo: se il riferimento è indeterminato, non è possibile giugere a stabilire cosa intendiamo per significato.


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