Selezione naturale della capacità morale e ontogenesi della condotta (4)
Selezione naturale della capacità morale e ontogenesi della condotta (4)
Nov 20
Articolo precedente: Selezione naturale della capacità morale e ontogenesi della condotta (3)
4. Il fenomeno della coscienza dal punto di vista neurobiologico
Negli anni Novanta vi fu un grande interesse scientifico intorno al fenomeno della coscienza dal punto di vista neurobiologico, cioè intorno al modo in cui i processi neurobiologici che avvengono nel cervello possano dare luogo all’esperienza cosciente. La coscienza, consciousness, sembrava il requisito necessario all’emergere della coscienza morale, la conscience. Per questo la nostra attenzione avrebbe dovuto rivolgersi, in primo luogo, alla coscienza onde svelare il mistero di come questa sia prodotta dall’attività del cervello e soltanto tenendo conto dei risultati della ricerca si sarebbe potuto affrontare il problema dell’ontologia della morale. Si sostenne che la coscienza è un fenomeno naturale comparso in un dato momento dell’evoluzione a motivo della sua utilità adattativa, che “la coscienza è incarnata” e come tale richiede alcune caratteristiche del corpo e del cervello [25].
Il problema concerne essenzialmente la questione di come i processi cerebrali possano dar luogo all’esperienza cosciente nonostante non sembrino possedere alcuna delle sue proprietà.
Contro l’utilità euristica di questa impostazione si è però obiettato che, sebbene quasi tutti gli studi siano d’accordo nel definire la coscienza come una ovvietà ammessa da tutti, in diverse culture del passato, inclusa quella greca, non esisteva un termine che, almeno grossolanamente, traducesse il significato di mente e di coscienza [26]. L’umanità avrebbe identificato la coscienza morale come problema molto prima di quanto abbia fatto con la coscienza [27]. In Omero in nessun caso la coscienza è problematizzata in senso moderno e così in Platone e Aristotele. Sembra quindi che l’umanità abbia sviluppato un interesse per la coscienza morale molto presto e si sia interrogata solo molto più recentemente sul tema della coscienza. Secondo Edelman l’evoluzione della coscienza sarebbe, in primo luogo, evoluzione della coscienza morale perché gli eventi selettivi della filogenesi della specie si sono verificati in interazioni sociali. L’emergere della coscienza in termini moderni avrebbe alle spalle una lunga sedimentazione di istinti sociali. Sarebbero gli istinti sociali a costituire la base della coscienza, non il contrario [28]. Anche in Hume troviamo una posizione analoga:
Nel porre il problema dall’Io dobbiamo distinguere tra identità personale in quanto riguarda il nostro pensiero o immaginazione e in quanto riguarda le nostre passioni o l’interesse che prendiamo per noi stessi. [29]
La consapevolezza di sé, quindi, per Hume si dà a noi pienamente nell’ambito sociale in qualità di esseri morali. Anche per Darwin gli istinti sociali fanno la loro comparsa ben prima della consapevolezza di sé, che non è necessaria perché vi sia quella del proprio ruolo sociale:
I poteri intellettuali necessari alla comparsa del senso morale o conscience non corrispondono mai alla consapevolezza di sé, cioè alla consciousness, che anzi il naturalista considera un interesse, se non marginale, quanto meno secondario delle sue ricerche. Piuttosto a essere critica per la comparsa del senso morale è l’attività della mente nel ricordare nitidamente le impressioni passate. [30]
In conclusione, la coscienza morale non è il frutto di una facoltà deliberativa ma il risultato di un processo evolutivo avviatosi con la selezione degli istinti sociali.
Lo studio dei rapporti tra processi neurobiologici cerebrali e coscienza non poteva non estendersi anche al comportamento. Una teoria del determinismo genico del libero arbitrio ha suscitato qualche interesse [31], poi l’attenzione si è spostata sul determinismo neurobiologico. Per garantire il libero arbitrio si pensa che la coscienza possa agire sulla stessa struttura cerebrale da cui dipende [32]. Il rapporto tra processi cerebrali e coscienza potrebbe essere descritto in termini causali se si sostituisse il concetto di causazione con quello di implicazione [33] o si operasse una estensione [34] del suo campo di applicazione.
Anche l’attività della coscienza può essere descritta in termini causali? In questo caso la risposta è no. La coscienza è un indice delle discriminazioni in atto a livello neurale; manifesta la sua importanza nell’informare l’organismo, è una funzione critica per la sopravvivenza ma non può esercitare da sola alcuna influenza causale.
Le conclusioni di Edelman sull’esistenza del libero arbitrio sono compatibiliste [35]. Il compatibilismo definisce la forma più grossolana di libertà, non da azioni determinate in generale ma solamente da azioni compiute sotto costrizione. Questa è anche la concezione di Darwin e di Hume [36].
Se il senso morale è frutto della selezione, cioè è naturale come il camminare e il linguaggio, ma è mutevole, non fisso e inalterabile; se la moralità non è una competenza intrinseca dell’individuo ma una conseguenza contingente di capacità che appartengono alla specie, allora la libertà e la responsabilità non saranno comprensibili se non all’interno del contesto sociale in cui si hanno attori morali. La storia selettiva ha fornito a Homo Sapiens un insieme di istinti sociali che vincolano l’esperienza individuale al contesto sociale. Dobbiamo considerare quindi il nostro comportamento determinato dai nostri istinti? Siamo vincolati e al contempo liberi dalla nostra natura biosociale perché la capacità morale non è qualcosa di pronto per essere usato ma si realizza nel corso dell’ontogenesi individuale. Il nostro senso morale quindi non è stabilito una volta per tutte ma si costruisce nel corso dell’esistenza biologica del singolo [37].
Note
[25] Cfr. G.M. Edelman, Più grandi del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza, Einaudi, Torino, 2004, p. 5.
[26] Cfr. K.W. Wilkes, W. Kathleen, Consciousness in Contemporary Science, Oxford University Press, Oxford, 1988, p. 17.
[27] Cfr. A.R. Damasio, The Feeling of What Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness, New York, 1999, trad. it. Emozione e coscienza, Adelphi, Milano, 2000, p. 275.
[28] Cfr. G.M. Edelman, Op. cit.
[29] D. Hume, Op. cit., libro I, parte IV, sezione VI, capoverso 5.
[30] C. Darwin, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, Bollati Boringhieri, Torino, 1994, p. 458.
[31] Cfr. S. Rose, R. Lewontin, L. Kamin, Il gene e la sua mente. Biologia, ideologia e natura umana, Mondadori, Milano, 1983.
[32] Cfr. R. Libet, Mind time, il fattore temporale della coscienza, Raffaello Cortina, Milano, 2007, p. 165.
[33] Cfr. G.M. Edelman, Op. cit., p. 67.
[34] Cfr. J.R, Searle, La riscoperta della mente, Bollati Boringhieri, Torino, 1994, p. 127.
[35] Cfr. G.M. Edelman, Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana, Raffaello Cortina, Milano, 2007, p. 91.
[36] Cfr. D. Hume, Ricerca sui principi della morale, a cura di M. Dal Pra, Laterza, Bari, 1977, p. 147.
[37] Cfr. S. Rose, Il cervello del XX secolo. Spiegare, curare e manipolare la mente, Codice Edizioni, Torino, 2005, p. 380.
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