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L’etica di John Rawls: analisi di “Una teoria della giustizia” (7)

L’etica di John Rawls: analisi di “Una teoria della giustizia” (7)

Dic 09

 
Articolo precedente: L’etica di John Rawls: analisi di «Una teoria della giustizia» (6)

 

3.2. Quote distributive

Posizione centrale, nella teoria della giustizia come equità, la acquista, come si è visto, la comunità. Riguardo a questo aspetto, però,

Non esiste alcun riaggiustamento dello schema economico risultante che migliora la condizione di un consumatore […] senza peggiorare quella di un altro. Non sono possibili ulteriori scambi reciprocamente vantaggiosi, né vi è alcun processo produttivo praticabile che consenta una maggior quantità di una merce desiderata, senza richiedere la riduzione di un’altra. [57]

Il modo di trattare il criterio del bisogno, che riecheggia i princìpi marxiani, sembra essere per il filosofo di Harvard un sistema più efficace del tentativo di determinare il reddito per mezzo di standard di salario minimi e simili. Poiché però ogni società ha bisogno di un mercato, e il mercato non soddisfa questo criterio, si tratta allora di massimizzare le aspettative a lungo termine di reddito totale per i meno avvantaggiati [58]. La giustizia della distribuzione di reddito e ricchezza esige un’approvazione unanime, ad ogni modo. Ed esigere dai cittadini, costringendoli, il pagamento di benefici non richiesti e desiderati da altri è poco giustificato, quasi come costringerli a rimborsare ad altri le loro spese personali [59]. È evidente che non sia possibile adottare democraticamente un principio di giusto risparmio in senso stretto, tuttavia l’accordo equo della posizione originaria dovrebbe, almeno virtualmente, coinvolgere tutti e tutte le generazioni [60].

Si può inoltre notare che una discussione sulla distribuzione delle quote incorporata in una struttura che vuole definirsi “giusta” non riesce comunque a conciliare le massime “a ciascuno secondo il suo impegno” e “a ciascuno secondo il suo contributo” [61], sia che non sia adottato un principio utilitarista, e ancor meno se viene adottato un principio utilitarista. I due princìpi di giustizia rawlsiani vorrebbero infatti da una parte ricalcare e ampliare gli assunti marxiani “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”, dall’altra mettere in guardia dall’inadeguatezza e angustia di essi a porsi come soddisfacenti princìpi di giustizia (basta vedere come la prestazione di un individuo vari in base alla domanda e dal numero di persone che offrono quel servizio, e non può perciò tale massima condurre a un risultato giusto in ogni contesto).

Possiamo inferire che una concezione della giustizia come Rawls la intende richiede la continua ricerca di un appropriato equilibrio tra le massime, e dunque la capacità di mutare il peso specifico di esse al mutare delle condizioni sociali. Non solo: la giustizia come equità rifiuta anche il senso comune che vorrebbe distribuire reddito e ricchezze secondo un presunto merito morale (vedi ad esempio l’etica protestante). Esplicitamente, su questo punto il filosofo afferma:

l’idea di ricompensare il merito è inattuabile. [62]

Il concetto di “valore morale” sta a un livello secondario rispetto al concetto di giustizia:

l’organizzazione della società allo scopo di ricompensare il valore morale come primo principio sarebbe come mantenere l’istituzione della proprietà solo per punire i ladri. [63]

E ancora:

Per l’uguale libertà, non è necessario che le persone siano di uguale valore. [64]

Ciò che conta come merito viene infatti definito dal sistema delle regole sociali ed economiche: una volta che sono fissate le regole le persone “meritano” ciò che spetta loro in base ad esse, non il contrario. Merito e ricompense, insomma, devono solo e soltanto servire al meglio i piani di vita dei cittadini di una società bene-ordinata [65].

Per approfondire


Note

[57] Ivi, pp. 231-232.

[58] Cfr. ivi, p. 236.

[59] Cfr. ivi, p. 240.

[60] Cfr. ivi, p. 244.

[61] Cfr. ivi, p. 257.

[62] Ivi, p. 262.

[63] Ivi, p. 263.

[64] Ivi, p. 276.

[65] Ottonelli, cit., pp. 137-138.
 
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