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L’etica di John Rawls: analisi di “Una teoria della giustizia” (2)

L’etica di John Rawls: analisi di “Una teoria della giustizia” (2)

Nov 04

 

Articolo precedente: L’etica di John Rawls: analisi di «Una teoria della giustizia» (1)

 

1. Una teoria della giustizia, parte prima: Teoria

1.1. Che cos’è la giustizia? Equità

Nella storia del pensiero, il termine “giustizia” ha indicato di volta in volta la conformità ad una norma o un ideale, un’ispirazione di uguaglianza, o l’ordine da stabilire. Nel pensiero moderno, il valore della giustizia è stato subordinato spesso ad altri valori che sembravano riassorbirlo: l’utilità sociale e la felicità dei più, oppure la pace e la convivenza come rispetto reciproco e reciproca limitazione. Per Rawls, la giustizia è la realizzazione dei princìpi di giustizia e questi sono quei princìpi di distribuzione dei costi e dei benefici tra i partecipanti all’impresa sociale che sarebbero stati scelti da un soggetto in condizione di garantire il massimo di equità (fairness) della scelta. Questo concetto, fairness, tradotto in italiano con equità, indica una parità di trattamento di persone simili in circostanze simili. La giustizia, dunque, per Rawls è:

il primo requisito delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero. [6]

Come una teoria deve essere abbandonata o modificata se non risulta vera, così le leggi e le istituzioni devono essere abolite o riformate se sono ingiuste, anche se fornissero un certo benessere alla società nel suo complesso, in quanto:

Ogni persona possiede un’inviolabilità fondata sulla giustizia su cui neppure il benessere della sua società nel suo complesso può prevalere. [7]

Già qui riscontriamo l’antitetica posizione del filosofo rispetto a quella degli utilitaristi, e l’affermazione perentoria che le uguali libertà dei cittadini sono un diritto assoluto, incalcolabile e che elude ogni logica di compromesso. Come fanno anche verità e giustizia, virtù principali delle attività umane. L’unico caso in cui sia tollerabile un’ingiustizia perpetuata ai danni della libertà è quello in cui si è costretti ad evitare un’ingiustizia ancora maggiore (per esempio, rendere schiavo un prigioniero di guerra rappresenta un passo avanti rispetto alla pratica della condanna a morte). Ora, se assumiamo che la società sia una sorta di impresa cooperativa di persone, intese kantianamente come esseri razionali che riconoscono nel loro interesse la necessità di cooperare tra loro, allora esiste un’identità di interesse, esplicabile in una serie di princìpi, che forniscono un metodo per assegnare diritti e doveri e distribuiscono benefici ed oneri. Perciò,

Una società è bene-ordinata quando non soltanto è tesa a promuovere il benessere dei propri membri, ma è anche regolata in modo effettivo da una concezione pubblica della giustizia. Ciò significa che si tratta di una società in cui 1) ognuno accetta e sa che gli altri accettano i medesimi princìpi di giustizia e 2) le istituzioni fondamentali della società soddisfano generalmente, e in modo generalmente riconosciuto, questi princìpi. [8]

Tuttavia, un certo livello di accordo sull’idea di giustizia non basta. Sono necessarie anche coordinazione, efficienza e stabilità, di modo da prevenire violazioni. Evidentemente, se manca un accordo su ciò che è giusto o sbagliato, mancano anche queste ultime caratteristiche, che rendono tale un assetto sociale. E dato che l’oggetto principale della giustizia è la struttura fondamentale della società, intuitivamente si può inferire che questa struttura includa differenti posizioni sociali e che uomini nati in differenti posizioni abbiano pertanto differenti aspettative di vita, determinate da situazioni di partenza che sono privilegiate, o meno, rispetto ad altre, e non possono essere giustificate da nozioni morali o di merito. Dice Rawls:

È a queste ineguaglianze […] che devono essere innanzitutto applicati i princìpi della giustizia sociale. […] La giustizia di uno schema sociale dipende essenzialmente dal modo in cui sono ripartiti i diritti e i doveri fondamentali, dalle opportunità economiche e dalle condizioni sociali nei vari settori della società. [9]

E, per il momento, “società” viene da Rawls considerata come un sistema chiuso isolato dalle altre società. Non solo: i princìpi che egli vuole ritrovare a fondamento di essa forniranno tutti i requisiti per una concezione completa che sarà qualcosa di più di una concezione della giustizia: sarà un’ideale sociale. Che non si pone in conflitto con la nozione tradizionale. I medesimi princìpi saranno:

i princìpi che persone libere e razionali, preoccupate di perseguire i propri interessi, accetterebbero in una posizione iniziale di eguaglianza per definire i termini fondamentali della loro associazione. [10]

Rawls si trova dunque a “mettere in scena”, nel vero senso della parola, una teoria neo-contrattualista dello Stato (che tuttavia si differenzia dal contrattualismo classico in quanto quello aveva come fine la giustificazione razionale del potere dello Stato, questo invece propone un modello di società giusta, cioè cambia il focus dell’argomentazione: in quello era l’entrata in una società o l’adozione di una data forma di governo, in questo è l’accettazione di alcuni princìpi morali). Ci troviamo ora in una sorta di “stato di natura” della teoria tradizionale del contratto sociale, che corrisponde alla “posizione iniziale di uguaglianza” (naturalmente, si tratta di una condizione puramente ipotetica), original position, un momento in cui gli uomini decidono di dare vita ad uno Stato, ma soprattutto in un momento nel quale devono decidere una volta per tutte ciò che è giusto e ciò che non lo è. Ora, dice Rawls,

la scelta che individui razionali farebbero in questa ipotetica situazione di uguale libertà, assumendo per ora che questo problema di scelta ha una soluzione, determina i princìpi di giustizia. [11]

Insomma, i princìpi di giustizia vengono fondati e dimostrati da una scelta razionale e morale, e questa stessa situazione di scelta garantisce l’equità dei princìpi. I princìpi garantiranno poi l’equità della scelta. Come l’etica kantiana era incentrata sulla scelta autonoma di persone razionali, così quella di Rawls è incentrata sulla scelta e l’accordo tra persone razionali, libere ed eguali. I singoli scelgono i princìpi di giustizia in condizione di assoluta uguaglianza, dunque. Ma l’uguaglianza iniziale da cosa è data? L’uguaglianza iniziale non solo è data, ma è garantita, dal fatto che i singoli sono privi di alcune informazioni legate alla propria condizione futura nella società:

Tra le caratteristiche essenziali di questa situazione vi è il fatto che nessuno conosce il suo posto nella società, la sua posizione di classe o il suo status sociale, la parte che il caso gli assegna nella suddivisione delle doti naturali, la sua intelligenza, forza e simili […], non sanno nulla delle proprie concezioni del bene e delle proprie particolari propensioni psicologiche. [12]

La scelta viene perciò effettuata sotto un “velo di ignoranza” (veil of ignorance), cosa che, secondo Rawls, consente di operare un radicale cambiamento nelle persone: da individui egoisti a persone morali. Ciò assicura infatti che nella scelta dei princìpi di giustizia nessuno venga avvantaggiato o svantaggiato, dal caso o dalle circostanze. Basti pensare che se vi fosse conoscenza del proprio status successivo, coloro che fossero ricchi sarebbero probabilmente a sfavore di norme assistenziali, mentre coloro che fossero poveri si schiererebbero a favore di queste. Per questi motivi, il velo di ignoranza esclude i fattori contingenti allo scoppio di un conflitto dovuto a conoscenze del proprio status e garantisce che tutti abbiano gli stessi diritti nella scelta dei princìpi. Si potrebbe dire, insomma, che:

la posizione originaria è il corretto status quo iniziale, e perciò che gli accordi fondamentali stipulati in essa sono equi. Questo spiega l’appropriatezza del termine “giustizia come equità”: esso porta con sé l’idea che i princìpi di giustizia sono concordati in una condizione iniziale equa. [13]

Naturalmente – Rawls se ne rende conto e lo ammette – nessuna società potrebbe autonomamente rispondere a questi requisiti nella realtà, poiché nessuna società può essere un sistema di cooperazione a cui gli uomini partecipano volontariamente in senso letterale. Eppure l’esercizio di astrazione che il filosofo in questo libro sta compiendo è di per sé un’operazione che renderebbe quantomeno possibile l’idea di uno schema volontario e l’idea di una società che soddisfi i princìpi della giustizia come equità. Ma perché dovremmo essere interessati a questi princìpi, se questo accordo non ha effettivamente mai luogo? Per fare esercizio filosofico, puro e semplice. Perché le condizioni che Rawls ci pone nell’original position (un «artificio espositivo» [14], secondo le esatte parole rawlsiane) sono quelle che, di fatto, accettiamo. C’è da dire, inoltre, che il principio di utilità, tanto caro agli utilitaristi, sembra essere incompatibile con un tipo di società come questo:

Poiché ognuno desidera proteggere i propri interessi e la capacità di promuovere la propria concezione del bene, nessuno ha delle ragioni per subire una duratura perdita personale allo scopo di aumentare il livello generale di utilità. In mancanza di soldi e durevoli sentimenti di carità, un essere razionale non accetterebbe una struttura fondamentale semplicemente perché massimizza la somma algebrica dei vantaggi, senza curarsi degli effetti permanenti che essa avrebbe sui suoi interessi e diritti fondamentali. Sembra quindi che il principio di utilità sia incompatibile con la concezione di cooperazione sociale tra eguali con lo scopo del reciproco vantaggio. Esso sembra inconsistente con l’idea di reciprocità, implicita nella nozione di società bene-ordinata. [15]

Ciò di cui il filosofo parla in questo breve estratto ha a che vedere con il suo “principio di maximin (maximum minimorum)”, ossia quel criterio, che Rawls vuole applicato, che massimizza i vantaggi per le posizioni più svantaggiate, cerca di migliorare cioè il più possibile la situazione di coloro che stanno peggio, e per tutti coloro che devono scegliere è razionale farlo poiché non si sa quale posizione si andrà a coprire (il velo di ignoranza trova qui la sua funzione principale). I soggetti nella posizione iniziale sceglieranno allora: 1) un principio che richieda l’uguaglianza dei diritti e doveri fondamentali; 2) un principio che sostenga che le ineguaglianze economiche e sociali sono giuste solo se producono benefici compensativi per i membri meno avvantaggiati della società. Ciò in quanto:

il fatto che alcuni abbiano meno affinché altri prosperino può essere utile, ma non è giusto [16],

poiché lo studioso americano reputa naturale che esistano gruppi di persone meno favorite, e tuttavia altrettanto naturale che sia necessaria una sorta di “riparazione” verso essi stessi da parte della società giusta.

Per approfondire


Note

[6] Rawls, cit., p. 21.

[7] Ibidem.

[8] Rawls, cit., p. 22.

[9] Ivi, pp. 24-25.

[10] Ivi, p. 27.

[11] Ivi, p. 28.

[12] Ibidem.

[13] Ibidem.

[14] Rawls, cit., p. 35.

[15] Ivi, p. 30.

[16] Ibidem.
 
Articolo successivo: L’etica di John Rawls: analisi di «Una teoria della giustizia» (3)
 


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