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“Animali che dunque siamo”: l’antispecismo debole di Leonardo Caffo (2)

“Animali che dunque siamo”: l’antispecismo debole di Leonardo Caffo (2)

Ott 16

 

Articolo precedente: “Animali che dunque siamo”: l’antispecismo debole di Leonardo Caffo (1)

 
Avendo chiarito che non sussiste alcuna giustificazione morale per commettere e continuare a commettere efferatezze nei confronti del mondo animale e che è indubbio che gli animali non umani hanno facoltà di esperire tra le altre cose dolore, paura e solitudine – sui quali temi non sarebbe possibile soffermarsi ampiamente dati i limiti di questo contributo – Caffo prosegue col delineare i fondamenti della sua teoria passando in rassegna le potenziali critiche ad essa dalle varie correnti filosofiche (relativismo, scetticismo, nichilismo) e ponendo in luce gli elementi che la oppongono all’antispecismo “utilitarista” (Peter Singer [1]), “giusnaturalista” (Tom Regan [2]), e “politico”. Di grande interesse risulta lo scambio intellettuale a chiusura del libro, con Marco Maurizi [3], quale sostenitore dell’antispecismo politico: un susseguirsi serrato di idee e tesi appassionante e spiazzante, che ricorda il senso del dialogo filosofico, del crescere senza dover per forza giungere a una conclusione statica o alla conversione dell’uno o dell’altro interlocutore; c’è bisogno di ruminare, volendo indegnamente scomodare Nietzsche.

La posizione di Maurizi muove da un modo diverso di intendere i rapporti tra natura e società, individuo e società, animalità e soggetto, giungendo quindi a conclusioni inconciliabili con quelle di Caffo: secondo Maurizi è infatti necessario chiarire che l’antispecismo si unisce – invece – inevitabilmente alla causa di liberazione umana giacché esse sono strutturalmente e storicamente vicine. E questo non per una diretta connessione temporale ma in virtù di un comune nucleo simbolico alla loro base, il quale ci riporta alla definizione stessa dello specismo:

Il “rango” è un concetto che può essere “proiettato” all’esterno solo dopo essersi imposto dentro la società. A sua volta la squalificazione dei soggetti umani deboli a “bestie” non è possibile senza aver ridotto l’animalità a una condizione di inferiorità [4].

Personalmente ritengo meritevole di considerazione anche quest’ultima formulazione del dibattito antispecista; la conclusione è forse più amara di quella di Caffo perché sposta la questione su un piano d’azione, quello sociale e “politico”, su cui appunto l’individuo può operare sì in direzione di una liberazione animale e umana ma non in via definitiva, posto che sono in gioco dinamiche molto complesse che esulano dal pensiero individuale razionale, sempre attraversato dal sottile filo rosso della socialità.

La dissertazione dell’autore si chiude invitando il lettore a scoprire quanto più possibile sull’antispecismo e lasciandolo con parole di auspicio:

Possiamo immaginare una nuova umanità, passando proprio dalla liberazione dell’animalità, ritrovandoci innanzitutto “animali che dunque siamo” e forse […] quella ritrovata bestialità potrà condurci a questa liberazione complessiva [5].

Il discorso caffiano risulta di interesse e utilità soprattutto nella misura in cui ha il merito pregevole di aver raccolto e argomentato a fondo le principali teorie finora formulate in relazione all’antispecismo, seppur opponendosi a queste; tuttavia, rimane controverso, nella limitata e soggettiva visione di chi scrive, che una qualche forma di liberazione animale possa realizzarsi davvero se condotta in maniera del tutto avulsa dalle implicazioni che inevitabilmente scatterebbero nell’ambito della società umana; fermo restando che è ormai evidente la necessità di superare lo specismo – e l’antropocentrismo – bisognerebbe operare in modo da non (s)cadere mai in un’opposizione cieca all’uomo, a cui pure spetta da tempo immemore il titolo della “bestia” più feroce, bensì nel nome – probabilmente utopistico – di una coesistenza reale di tutte le forme viventi su questo pianeta.

Ricordo che questa è solo la mia personale fruizione del testo sopra citato e che trattare a dovere tutte le sfaccettature dell’antispecismo non era l’intento di questo breve contributo, quanto piuttosto gettare nuova luce su una corrente filosofica degna di costante attenzione perché è una delle espressioni migliori di quella filosofia che investe l’essere in ogni sua forma e non deve rimanere perciò mera parola facendosi – invece – pensiero in vita, qualsiasi sia il suo aspetto.

 

Note

[1] Si veda tra gli altri P. Singer, Liberazione Animale, 1975.

[2] Si veda tra gli altri T. Regan, Gabbie vuote. La sfida dei diritti animali, 2005.

[3] Si veda tra gli altri M. Maurizi, Asinus Novus. Lettere dal carcere dell’umanità, 2012.

[4] L. Caffo, Il maiale non fa la rivoluzione, op. cit., posizione 1812.

[5] L. Caffo, Il maiale non fa la rivoluzione, op. cit., posizione 1934.

 

 


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