A chi appartiene ciò che prima era di nessuno? La labor-mixing theory di Locke
A chi appartiene ciò che prima era di nessuno? La labor-mixing theory di Locke
Apr 23Numerosi sono i problemi inerenti le teorie della giustizia: quali siano le procedure per determinarla, se essa presupponga una certa distribuzione delle risorse, etc.
In questo post noi vorremmo però occuparci di un problema specifico: i diritti di proprietà su una proprietà precedentemente non appartenente a nessuno. Questo problema, che a prima vista potrebbe apparire marginale, è particolarmente interessante per le così dette teorie storiche della giustizia, ovvero quelle che si occupano del principio di giustizia nei trasferimenti. In sostanza, tale teoria afferma che se una persona acquisisce un possesso tramite un legittimo processo di trasferimento, allora il possesso è legittimato (1).
Supponiamo ad esempio che Tizio possieda legittimamente un orologio, perché lo ha regolarmente acquistato. Naturalmente, anche l’orologiaio avrà dovuto possedere regolarmente quell’orologio, perché, tipicamente, l’avrà regolarmente acquistato da un grossista. Questa catena potrebbe proseguire, passando dall’industria produttrice alle miniere dove vengono estratte le materie prime, ma è chiaro che non potrà essere un processo infinito, e che, a un certo punto, si dovrà arrivare a una “transizione prima” in cui ciò che prima non era di nessuno passa a essere proprietà di qualcuno. Se tutta la catena che abbiamo elaborato deve essere giustificata, lo dovrà essere anche questo primo passaggio.
Uno dei primi autori a formulare una risposta inglese fu, nella seconda metà del ‘600, John Locke, considerato uno dei primi esponenti del liberismo inglese, nonché precursore dell’illuminismo. Molti sarebbero i tratti da ricordare di questo pensatore per meglio comprendere le sue tesi. Ci limiteremo a ricordare che egli visse la Gloriosa Rivoluzione inglese (più pacifica e meno sanguinaria della prima) e che sposava una teoria giusnaturalista, ritenendo che ogni uomo godesse del diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà, indipendentemente dalla particolare giurisdizione positiva del suo Stato.
Per quanto riguarda il passaggio di un possesso da ciò che prima di allora non era posseduto da nessuno (da qui in poi, seguendo, la terminologia di Locke, la “natura grezza”) egli elabora una teoria nota come il labor-mixing (2). Egli, seguendo un procedimento tipico del suo tempo (si pensi, per citare i casi più celebri, a Hobbes e, poco più avanti, a Rousseau), esamina questo problema in un ipotetico stato di natura, cioè nella condizione dell’umanità precedente all’istituzione del potere politico. Ricordo che quest’approccio è, più che una ricostruzione storica degli esordi dell’umanità, un espediente che immagina uno stadio primitivo ideale, teorico.
Il ragionamento di Locke parte dall’osservazione che l’uomo ha potere sul suo corpo. Di conseguenza, lavorando sulla natura grezza egli introietterà simbolicamente parte di sé in essa. Ne segue dunque che egli, con il suo lavoro, ne acquisirà la proprietà. A questo punto il primo passaggio della nostra catena è compiuto, giacché anche il primo passaggio di proprietà è giustificato. Per chiarire questo punto con un esempio concreto, se un uomo costruisce un utensile partendo da materie prime che trova in natura (che non hanno proprietari), egli, attuando su di esse delle manipolazioni tramite il suo corpo, acquisisce la proprietà dell’oggetto finale.
L’appropriazione, però, deve avvenire a condizione di lasciare risorse a disposizione degli altri. Questo porta Locke a introdurre, per usare la terminologia degli studiosi della materia, una clausola limitativa; l’appropriazione della natura grezza da parte dell’uomo dev’essere dunque compiuta tenendo conto dei bisogni delle altre persone.
Fin qui abbiamo descritto un’economia di mera sussistenza. Il passaggio alle economie di scambio trova per Locke giustificazione grazie al consenso. Vi è infatti un accordo comune che permette di attribuire al denaro un valore di scambio, tale per cui si rendano giustificate delle transazioni e, pertanto, le successive, anche se ineguali, redistribuzioni. Dunque, nei successivi stadi economici, la clausola limitativa, se non sparisce, risulta comunque indebolita. Questo si giustifica, nella visione di Locke, perché esistono altre fonti tramite cui le persone possono procurarsi risorse, anche non disponendo di materia grezza, ad esempio vendendo la loro forza-lavoro.
NOTE
(1) Il più noto autore contemporaneo di questo approccio è Robert Nozick. Si veda Robert Nozick, Anarchy, State, and Utopia, Basic Books, New York 1974; traduzione italiana di G. Ferranti, Anarchia, Stato, Utopia. I fondamenti dello Stato minimo, Il Saggiatore, Milano 1999.
(2) Si veda John Locke, Two Treatises on Government, A. Churchill, London 1960.
Articolo davvero molto interessante. Se adottassimo tutti un’economia di sussistenza ci sarebbe sicuramente più equità, ma ciò sarebbe attuabile in un mondo possibile, o in un universo di mondi possibili!