Temi e protagonisti della filosofia

Epicarmo V. Pars construens: testi

Epicarmo V. Pars construens: testi

Feb 16

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Il cripto-pitagorismo subodorato in Epicarmo potrebbe risultare da un errore di prospettiva che ci induce a scambiare l’effetto per la causa: siccome i (neo)pitagorici riscontrarono notevoli affinità con alcuni spunti decontestualizzabili/ti dall’opera del commediografo siciliano, potrebbero aver falsificato a bella posta la sua formazione e la conseguente ideologia per tirare acqua al loro mulino (di Amleto, ma questo è e non è un altro discorso rispetto alla commedia).

Sarà bene allora cercare riscontri testuali più sicuri della convergenza di Epicarmo coi filosofi. Per esempio è verosimile che nel passo seguente (la cui autenticità è peraltro sospetta) sviluppi la dottrina più politically correct, tenera col mondo e coll’uomo, di Eraclito, quella della ragione (senso?) comune (xynos logos):

O Eumeo, il saper non è presso
uno solo, ma tutto quanto vive
ha pure conoscenza. Il femminile
delle galline genere difatti,
se esaminarlo attentamente vuoi,
non partorisce piccoli viventi,
però li cova e fa ch’abbian l’alma.
Ma tal sapere solo la natura
sa come sta; infatti è autodidatta.

Nei prossimi due frammenti, riconcilia Senofane (antiantropomorfismo) colla pietà popolare (politeismo):

‒ Ma da sempre gli dei sono stati
presenti né perirono giammai
e da sempre ci sono queste cose
ugualmente e da sempre negli stessi
stati. ‒ Però si dice che per primo
il Caos nacque tra gli dei. ‒ E come,
non avendo qual primo né da dove
né verso dove muoversi? ‒ Non s’è
mosso per primo niente allor? ‒ Per Zeus,
neppure per secondo, per lo meno
di tra le cose delle quali qui
ora parliam, ma sempre furon esse.

Nessuna meraviglia si parli noi
così di ciò, ne siam noi soddisfatti
e ci sembri che faccia un bell’effetto:
infatti il cane al can pare il più bello
esser, ed il bove al bove e il ciuccio al ciuccio
il più bello, e di certo il porco al porco.

Si ha l’impressione che Epicarmo persegua un livellamento eclettico tra filosofia dotta e buon senso popolare nell’aurea mediocritas di una saggezza pratica che inserisca la ricerca del benessere, dell’utile e della felicità individuali nella e non a detrimento della economia di un cosmo giusto e armonioso. E ammonisce delficamente:

Bisogna che il mortal pensi mortali
cose, non immortal cose il mortale.

È l’uomo miglior chiunque pecchi meno:
nessuno infatti d’innocente c’è,
nessun che si mantenga irreprensibile.

Tuttavia non mancano indizi di un marcato naturalismo. Stobeo infatti riferisce il seguente passo di Menandro:

Ed Epicarmo dice che gli dei
sono venti, acqua, terra, sol, fuoco, astri
;
ma io assumo quali soli dei
a noi utili tocchi d’argento e d’oro.

Senza contare i vari passaggi di mano di tal dottrina, può darsi che il commediografo siracusano abbia messo in bocca questo panteismo immanentistico a un suo personaggio senza sottoscriverlo. Bisognerebbe averci le opere intiere…

Concreti, ma nel senso di proverbiali e non di “riduzionisti”, sono anche altri detti come:

Sappi come s’atteggia assieme agli altri.

Promessa è figlia di cecità, smacco
è figlio di promessa.

Difficilmente ‘-ismabile’ è invece il seguente frammento:

Morir? No! Ma esser morto non m’importa.

Non si sa se giudicarlo un semplice gioco di parole che nasconde un pensiero banale (il passaggio metafisico dalla vita alla morte è angoscioso perché irrappresentabile, ma nell’esperienza s’incontrano cadaveri (degli altri…)) o un aforisma abissale à la Nietzsche.

Che drammi contenenti simili passi fossero rappresentati non solo alla raffinata corte di Ierone, ma anche a teatro è sorprendente: il pubblico doveva possedere competenze concettuali non indifferenti per cogliere il complesso messaggio propostogli e addirittura (sor)ridere del caduco e custodire la pepita nell’interiorità.


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