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Aristotele,Metafisica, libro 5°, i significati di “relativo” e “relazione”

Aristotele,Metafisica, libro 5°, i significati di “relativo” e “relazione”

Dic 09

Oggi parliamo dei significati di “relativo” e “relazione” che Aristotele fornisce nel libro quinto della Metafisica.

I)Il primo significato di “relativo” riguarda ciò che eccede rispetto a ciò che è ecceduto. Di questo primo significato vi sono cinque determinazioni le quali possono essere, a loro volta, determinate o indeterminate rispetto al numero o all’unità.

1) La prima determinazione di ciò che è relativo secondo ciò che eccede e ciò che è ecceduto riguarda le relazioni indeterminate rispetto ai numeri e l’esempio che possiamo esporne è quello, prettamente matematico, di “1 + 1/n” rispetto ad “n”. Qui i numeri sono determinati ma non lo è il loro riferimento, “n” in questo caso, rispetto al quale potrebbero eccedere o essere carenti.

2) Possono poi verificarsi relazioni indeterminate rispetto all’unità, questo è il caso del multiplo (che possiamo considerare un multiplo qualsiasi “n”) rispetto al numero “1” oppure l’espressione “ogni multiplo di 2 è pari”.

3)Vi sono poi relazioni determinate rispetto ai numeri, tipo qualsiasi frazione come: “3/2”, “5/4”, ecc.

4) Ancora, possono esserci relazioni determinate in relazione all’unità, come, ad esempio, il triplo rispetto all’uno.

5) Infine, può presentarsi un rapporto completamente indeterminato rispetto ai numeri, cioè quello che rispetto alla cosa ne enuncia un “eccesso” oppure un “difetto”. Sia “eccesso” che “difetto” si possono riferire ad una cosa (esempio: “l’acqua in eccesso è fuoriuscita dall’anfora da cinque litri”), ma la cosa non può essere riferita direttamente a questi due termini (cioè l’anfora di per sé non è implicata nel concetto di eccesso o in quello di difetto) e inoltre non sono un rapporto esplicitamente numerico. Questi due termini di paragone, “eccesso” e “difetto”, sono considerati come assolutamente generali e indeterminati piuttosto che come un “eccesso” o un “difetto” specifici. Probabilmente qui l’autore si riferisce al significato generale di “eccesso” e “difetto” che possono essere variabili a seconda della cosa e della circostanza. Questo è di fatto un significato più generale di “relativo” che non implica i rapporti matematici.

 

II) Il secondo grande significato di relativo riguarda l’agente rispetto al paziente, cioè ciò che agisce, rispetto a ciò che patisce l’azione. Questo gruppo di significati contiene diverse specificazioni al primo significato  che riguardava ciò che eccede e ciò che è ecceduto.

1) Rispetto al secondo significato le cose possono essere considerate come relative in riferimento alla potenza e all’atto, come nel caso della causa e dell’effetto ad esempio.

2) Le relazioni numeriche non ammettono atto secondo il movimento ma possono essere attualizzabili. Infatti i numeri sono eterni ed immobili. In questa affermazione di Aristotele Alessandro di Afrodisia riscontra una critica ai pitagorici secondo cui i numeri sono propriamente anche le cose in un rapporto uno ad uno, mentre per Aristotele in numeri sarebbero relativi alle cose (e non già le cose stesse) e al mutare delle cose (delle realtà sensibili perlomeno) muta il loro rapporto coi numeri (così se da 5 pani ne mangio 2, ne riamane una quantità di 3). Le relazioni numeriche delle cose sono attualizzabili, infatti in ogni momento si può puntualmente determinare, ad esempio, la misura di una cosa. Calcolando la portata di un fiume o l’altezza di un uomo, anche se queste misure variano nel tempo, possiamo ricavare comunque quantità  numeriche puntualmente descrivibili ed individuabili.

3) In riferimento a potenza e atto Aristotele specifiche che questi possono essere sia nel presente sia anche trasportati nel passato o nel futuro. Nel caso del padre come causa del figlio e quindi relativamente al figlio, il padre, si trova nel passato. Così come una causa attuale può creare le relative conseguenze in un futuro più o meno imminente.

4) Vi sono poi relativi che si specificano nella privazione della potenza. Esempi di questo punto sono “ciò che non può essere visto” che è relativo a “ciò che non può vedere”, oppure, “ciò che non può essere diviso” che è relativo a “ciò che non può dividere”. Vi è cioè una privazione di una potenza, la quale è relativa all’oggetto che subisce questa privazione.

5) Ultima specificazione sottolinea come nei relativi secondo il numero e l’unità come anche nei relativi secondo la potenza e l’atto un termine si dica in riferimento all’altro ma non viceversa.

 

III) Analizziamo ora l’ultimo dei tre principali significati di relazione. Nel caso di relazioni del tipo “A è il doppio di B” abbiamo che “A” è il relativo, mentre “B” è il termine assoluto di riferimento. E’ questa una relazione asimmetrica, dove un termine è fisso e l’altro varia rispetto al primo. Se invece consideriamo casi come il “misurabile”, lo “scibile”, il “pensabile”, ci troviamo in una situazione in cui non è il relativo ad essere detto in relazione ad altro (come nell’esempio sopra dove “A” è detto di “B” che è il riferimento). Rispetto a questi tre termini in esame, ad essere indipendenti o assoluti sono rispettivamente l’oggetto misurato, l’oggetto conosciuto, l’oggetto pensato. Quindi, uno per tutti, non è il misurabile ad essere detto in riferimento alla misura, ma è piuttosto la misura che viene detta in relazione al misurabile. In questo modo però il relativo è qualcos’altro rispetto al termine in questione, nel caso del “misurabile” il riferimento del relativo parte dalla cosa esterna, cioè la cosa misurata. La definizione di relativo in questo modo viene totalmente svuotata e sovrapposta a qualcosa che è già qualcos’altro ingenerando arbitraria confusione. Il problema è evidente anche nel caso del “padre” e del “figlio”, come nel caso di “servo” e “padrone” dove la relazione si sviluppa fra termini strettamente interdipendenti, almeno nel linguaggio, pur tenendo conto che Aristotele scrive di come la relazione logica è unidirezionale da un termine all’altro. Il problema si presenta anche pensando alla “vista”, la vista non è relativa all’ “uomo” altrimenti l’ “essere relativo” non avrebbe alcun significato: la vista appartiene all’uomo e non vede l’uomo ma è strumento dell’uomo per vedere. Ne risulterebbe che la vista avrebbe come relativo ciò che è veduto dalla vista stessa, definizione circolare diremo oggi. Allora la soluzione di Aristotele è di creare una parola apposita nella lingua qualora non esistesse. Così il “timone” appartiene alla nave, è una parte della nave, ma, in senso tecnico, non è relativo alla nave, pena lo sdilinquirsi del significato di relativo. Il “timone” allora sarà relativo al “timonato” così come la “testa” è relativa al “testato” e non ancora all’uomo. Vi sono poi casi specifici in cui vi sono relazioni prestabilite nel linguaggio secondo questo nesso appena esplicato, così la “vista” è relativa al “colore”, il “servo” non si riferisce all’uomo ma si esplica solo in relazione al “padrone” e, come aggiunge Zanatta, “ala” non si esplica in relazione ad “uccello” ma piuttosto in relazione ad “alato”. Quello che probabilmente dobbiamo ottenere, secondo Aristotele, in senso tecnico per il significato di “relativo” è l’evitare una definizione circolare ed evitare una definizione vuota, infine ricondurre la definizione ai casi e alle specifiche riportate qui.

 

Al di là di questi tre significati principali Aristotele aggiunge che “relativo” si può dire per sé o per accidente.

Del “relativo per sé”  devono intendersi (A) i casi in cui il relativo cade nei tre gruppi sopraesposti; (B) Le cose i cui generi sono relativi, ad esempio la “scienza” come genere è un relativo, secondo Aristotele, poiché è detta di altro, mentre le scienze particolari non sono dette di altro: la grammatica non è detta di altro, mentre la scienza in generale è detta anche della grammatica. Zanatta rileva che questo passaggio però è in parte oscuro poiché crea problemi di interpretazione e coerenza nei testi aristotelici, infatti se consideriamo il genere del “relativo” le specie che formano il genere ne condividono le caratteristiche e non si capisce come le specie diventino qualità. La sovrapposizione del significato di “relativo” con la relazioni fra genere e specie rimane quindi problematica. (C) Sono relative in sé le relazioni conformi ai significati già enunciati qui per cui si possono assumere anche queste come relative. In questo caso consideriamo i termini “simile”, “uguale” e “identico”. Questi tre termini indicano la medesima cosa, rispettivamente secondo la categoria della qualità, della quantità, della sostanza. Se consideriamo l’essere “relativo in sé” e non ciò che “si dice” essere relativo allora anche i tre termini in questione sono in relazione ad altro, rispettivamente “simile ad altro”, “uguale ad altro”, “identico ad altro”. Questa interpretazione fornita da Zanatta rimane pregevole per il tentativo di coerenza interna del testo aristotelico e non di meno potrebbe creare più problemi di quanti ne risolva complicando sia il significato di “in sé” sia quello di “ciò che si dice”. Rimane l’unica soluzione, se infatti stiamo trattando del significato “in sé” di “relativo” allora la faccenda riguarda “il dire” che l’uguale è uguale a qualcosa d’altro, cosa perfettamente fattibile da Aristotele nel caso vi siano che vi siano due oggetti i quali condividano medesima quantità. Atto quest’ultimo squisitamente linguistico che, ancora una volta, parrebbe sottolineare come il linguaggio per Aristotele sia riducibile al pensiero, che è anche il luogo dove può emergere il razionale; a sua volta il pensiero non abbraccia l’intera ontologia e quindi l’ontologia non sarebbe esprimibile completamente attraverso il linguaggio.

Vi è poi il relativo per accidente, a questo insieme appartengono le affezioni che ineriscono ai relativi per sé.


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