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Aristotele,Metafisica, libro 5°, significati dell’ “uno”, parte terza

Aristotele,Metafisica, libro 5°, significati dell’ “uno”, parte terza

Apr 22

I significati di ciò che è “uno per sé” secondo Aristotele, dal libro quinto della Metafisica:

1- Innanzitutto “si dice” “Uno per sé” ciò che è continuo. Gerarchicamente lo è di più ciò che è continuo “per natura” rispetto a ciò che lo è “per arte”. Di seguito Aristotele precisa che è Uno “ciò il cui movimento è continuo” e il movimento è continuo “se non è divisibile nel tempo”. Ciò non significa altro che deve venire considerato Uno ciò che durante il movimento ha tutte le sue parti in eguale movimento, non è Uno invece un qualcosa in cui vi sia movimento in una sua parte e quiete in un’altra; così è Uno sia un unico macigno che si muove in modo compatto nella sua interezza, sia un vaso. Ma gerarchicamente, in modo assiologico, è da considerarsi Uno in grado superiore il masso che è Uno per natura, rispetto al vaso che è Uno per arte, cioè per un intervento artificiale. Aristotele quindi precisa che è Uno ciò che “non è per puro contatto”; quindi gerarchicamente è Uno in misura maggiore il masso rispetto al fascio di legni legati insieme, i quali sono un Uno solamente per contatto. Inoltre è uno in misura maggiore ciò che non presenta pieghe (esempio: “la tibia e il polpaccio”), rispetto a ciò che è piegato (esempio: “la gamba” che si piega nel ginocchio) poiché in ciò che è piegato potrebbe sussistere un movimento non unitario; riferimento questo da comparare anche al significato etimologico che ci è rimasto oggi, in quanto “semplice” deriva proprio dal latino: “senza pieghe”, al contrario di complesso e semplice è spesso sinonimo di uno.

2- “Uno per sé” è, ciò il cui sostrato primo o ultimo non differisce per specie. Queste cose sono Uno poiché è impossibile che i sensi ne scorgano più specie all’interno, sono per Aristotele esempi di questa istanziazione i liquidi e le sostanze che si possono fondere, infatti nell’ “acqua” o nel “vino”, ad esempio, non si può scorgere qualcosa di diverso attraverso i sensi, pur non essendo l’acqua o il vino ascrivibili a qualcosa che possa essere sottoposto ad un movimento unitario e dove continuità ed unità non possono essere considerate allo stesso modo che nei solidi.

3- E’ Uno tutto ciò che appartiene allo stesso genere nonostante le differenze specifiche; il genere funge da sostrato per le differenze al suo interno. La materia che funge da sostrato per le cose individuali è materia sensibile (come per quanto riguarda l’acqua, o la creta del vaso, o la roccia del masso, o il legno dell’albero), mentre il genere è sostrato per i suoi membri in modo intelleggibile (come nel genere “animale” sono un “uno” gli universali “uomo”, “cane”, “cavallo” che vi sono compresi). Come sottolinea anche Zanatta siamo di fronte a due tipi di sostrato che sono tali per analogia: un sostrato sensibile e uno intelleggibile. A livello sensibile la materia è inerte e indifferenziata rispetto alla forma; mentre a livello intelleggibile gli elementi del genere sono appunto indifferenti senza la loro differenza specifica che è parte della definizione. E’ inoltre interessante notare che le cose individuali possono essere identiche (un “uno”, indistinguibili) sia secondo la materia sensibile, sia secondo quella intelleggibile nel caso del genere. Nel secondo caso possono essere indistinguibili o unità le cose intelleggibili sia secondo la specie ultima a cui appartengono sia secondo il genere immediatamente superiore di cui sono elementi. Un esempio per chiarire il punto appena espresso: i “triangoli isosceli” (specie infima) sono indistinguibili fra loro, ma sono diversi dai “triangoli rettangoli” (specie infima) e allo stesso tempo entrambi gli insiemi sono indistinguibili nel genere delle “figure” inteso come primo genere appena assiologicamente superiore alla specie ultima. Altro appunto importante è che il variare della quantità (come ad esempio considerare un litro o un ettolitro d’acqua, oppure un uomo da cinquanta kilogrammi o uno da centocinquanta) non fa variare la definizione come forma che rimane una qualità; quantità e qualità sono quindi due categorie che non possono essere ricondotte l’una all’altra, sono infatti due delle dieci categorie fondamentali aristoteliche.

4- Il quarto significato è espresso da Aristotele nella seguente citazione:

Inoltre, sono dette costituire un’unità tutte quelle cose di cui il discorso che ne enuncia la quiddità è indivisibile rispetto ad un altro che manifesti la cosa (infatti, ogni discorso in sé e per sé è indivisibile) [il grassetto è mio].

Seguendo Zanatta, il discorso che indica la “quiddità” (cioè l’iscrizione di una cosa in una determinata catena di generi e sottogeneri con opportune differenze dalla categoria fino alla specie infima) è la definizione. Due cose che hanno la stessa definizione sono la stessa cosa poiché fra loro non esiste differenza fra loro secondo la quiddità. Ricordiamoci ora che per Aristotele si fa scienza dell’universale e quindi, assiologicamente partendo dal più generale che è la categoria al più specifico che è la specie infima ci si ferma a quest’ultima, pertanto non si darà mai una definizione di un oggetto specifico, singolare e del tutto contingente come “Marco”, “Socrate” o “questo vaso specifico che ho qui a fianco”; ne risulta che gli uomini sono indistinguibili secondo definizione e anche secondo quiddità e in ciò costituiscono un “Uno” secondo il genere (nello specifico la specie infima “uomo”). Ma l’ultima citazione ci dà modo di fare luce su un altro punto molto importante, Aristotele infatti dice che vi è unità quando il discorso sulla quiddità coincide con un altro discorso che manifesti la cosa e questo secondo discorso sembra proprio essere la “nozione“. Zanatta scrive che nella nozione, “discorso che dice globalmente la cosa”,  si mescolano sia aspetti della quiddità sia aspetti non pertinenti a quest’ultima, se quindi quiddità e nozione indicano in ogni aspetto la medesima cosa e quindi la nozione corrisponde esattamente con la quiddità allora ci troviamo di fronte ad un’unità, cioè davanti a qualcosa che è un “uno”. Per quanto riguarda gli interrogativi sollevati anche precedentemente sullo statuto di “definizione” (termine tecnico molto specifico) e “nozione” (termine simile ma di natura più generale e meno specifico) possiamo fare delle importanti specificazioni. Se consideriamo la nozione come ciò che descrive “globalmente la cosa” allora possiamo dire che la nozione può coincidere con la definizione oppure coincidervi solamente in parte. e, Se la nozione contiene solo parte della definizione allora contiene anche altro e ciò si allontana dal campo dell’universale (proprio della definizione) e spazia al di fuori come nel caso dell’oggetto singolo (ossia ad esempio: “la nozione dell’Iliade”) o nel caso di oggetti molto particolari come i generi sommi che di fatto non sono generi (dell’ “uno” e dell’ “essere” vi è nozione ma non definizione).

Aristotele sottolinea che il quarto significato dell’ “Uno per sé” cioè ciò che è Uno secondo la definizione è il significato principale di Uno da cui derivano tutti gli altri.

Sempre all’interno dei significati dell’ “Uno per sé” Aristotele scrive che l’Uno è principio del numero, infatti il numero è misura, misura la quantità delle cose: come le mele nel cesto o le pecore al pascolo. L’ “Unità” (che può differire secondo la cosa che viene presa in considerazione), afferma lo stagirita, è la quantità minima non dotata di posizione, a differenza del punto il quale invece assume una posizione nello spazio. Zanatta collega questa nozione col Kant dell’Estetica Trascendentale presenta nella Critica della Ragion Pura. Sembrano infatti prospettarsi due tipi di quantità: 1 la pluralità che è una quantità discreta il cui fondamento è l’unità, la quale non è più ulteriormente divisibile; 2 l’estensione che non ha per se stessa un’unità indivisibile alla base, è cioè una quantità continua, e pertanto non può essere numerata, deve infatti essere misurata.

Kant ascrive al numero il tempo, il quale è sempre riconducibile ad un’unità di misura come quantità discreta. Mentre una misura è sempre rapportata ad una dimensione spaziale, l’aritmetica è quindi in qualche modo assiologicamente precedente alla geometria, benché in Kant siano entrambe condizioni trascendentali per la gnoseologia solo la materia ha la caratteristica di essere “estesa”. Sembra che la considerazione come Uno, unità, sintesi (l’appercezione trascendentale kantiana) o forma sia precedente, a livello gnoseologico, ad una unità spaziale ed estesa intesa come Punto. A mio avviso quello che Aristotele vuole dire in questo caso ha un sapore un po’ Platonico e cioè che ogni forma come anche la forma di ogni numero è un Uno, un’unità, quindi ancora l’appercezione trascendentale kantiana, se vogliamo metterla in questi termini e ogni oggetto spaziale può essere forma intelleggibile in potenza prima che sensibile in atto.

 


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