METAFISICA, LIBRO IV, capitolo 7-8: principio del terzo escluso e bivalenza
METAFISICA, LIBRO IV, capitolo 7-8: principio del terzo escluso e bivalenza
Dic 03Con i capitoli 7 e 8 si conclude infine il libro quarto della Metafisica di Aristotele. In questo libro è stato enunciato dall’autore quello che egli considera il principio più saldo e incrollabile ovverosia il principio di non contraddizione, tale principio ha come caratteristica l’autoevidenza come prova fondamentale non potendo darne una dimostrazione in quanto principio. Sottinteso al principio di non contraddizione abbiamo visto essere il principio di identità, non direttamente formulato da Aristotele, che emerge comunque dalla teoresi dell’autore secondo cui ogni formulazione razionale è determinata in un solo modo, ogni oggetto ha una sua essenza e il relativismo è solo fonte di contraddizioni. A corollario di questi due principi troviamo negli ultimi due capitoli del libro 4 altrettanti tasselli che andranno a formare la base della logica moderna almeno fino all’introduzione dei quantificatori da parte di Frege. Bisogna ricordare che la teoria aristotelica non viene disconosciuta da Frege ma soltanto migliorata ed implementata. L’ultimo principio di cui andiamo a discutere in questo post è quello del terzo escluso che si esprime in ciò che viene odiernamente chiamato bivalenza logica: un medesimo enunciato dichiarativo non può essere inseme vero e falso, o anche che, una stessa cosa presa sotto un medesimo aspetto nello stesso tempo e nello stesso spazio non può essere insieme se stessa e qualcosa d’altro, chiara formulazione contro il relativismo.
Partiamo dal principio del terzo escluso che sostiene come non esista un intermedio fra i termini di contraddizione. Questo principio si riferisce sempre agli enunciati dichiarativi che cioè descrivono un aspetto della realtà; non sono ad esempio enunciati dichiarativi gli ordini o le preghiere né le ipotesi sul futuro o i desideri. Aristotele porta vari argomenti a favore di questo principio. 1) Il primo argomento è abbastanza lineare: se uno stato di cose può essere descritto da una proposizione in modo vero o falso (cioè rispecchiando o meno lo stato di cose in questione) allora non può esistere un terzo stato, ossia una proposizione che non sia né vera né falsa e che descriva quello specifico stato di cose. 2) Il secondo argomento risulta più involuto, Aristotele sostiene che fra i contraddittori può sussistere un intermedio reale (come il “grigio” fra il “bianco” e il “nero”) o un intermedio meramente supposto (come qualcosa che non è né “uomo” né “cavallo”). Nel caso dell’intermedio reale, questo non può ragionevolmente esistere poiché non avremmo un mutamento fra due opposti e, come abbiamo visto (nelle aporie del secondo libro), per Aristotele il mutamento è sempre determinato a va da un opposto all’altro. Ciò riposa anche sul fatto che secondo Aristotele ogni determinazione proviene dal suo contrario, così si determinano le coppie fondamentali di “essere” e “nulla”, di “uno” e “molti”; queste sono determinazioni fondamentali e su questa linea genetica si attua ogni determinazione depotenziando l’iniziale opposizione in diversità. Se invece ci troviamo come nel secondo caso in presenza di un intermedio del tutto supposto o indeterminato allora la questione risulta più semplice poiché il mutamento è reso impossibile dal fatto che questo tipo di intermedio non muta verso nessuno dei suoi due estremi, ciò a riprova che solo una considerazione secondo il vero o il falso può essere una sensata descrizione della realtà. Presupposto a ciò è l’esistenza del mutamento, condizione essenziale degli enti sensibili, autoevidente e riprovata anche con altri argomenti che vedremo poco più avanti in questo post. 3) Il terzo argomento cambia piano e verte sulla filosofia del linguaggio: pensare significa, per Aristotele, unire un predicato a un soggetto oppure disunirli, non vi è una terza via; quindi il pensiero formando una proposizione può coerentemente solo o negare o affermare uno stato di cose. Questo è un grandissimo cardine della filosofia aristotelica e una grossa ipoteca sulla gnoseologia in generale. 4) Questo argomento un po’ ripete quanto già detto: se esistesse un intermedio allora dovrebbe darsi il caso in cui qualcuno dica qualcosa che non è né vero né falso pur rimanendo nel campo degli enunciati assertori e su questa linea dovrebbe esistere uno stato intermedio fra essere e nulla, il che per lo stagirita semplicemente non è. 5) E’ questo un argomento derivato da quanto detto sopra, ad un soggetto consta o possedere un predicato o non possederlo, così per esempio un numero o è un numero pari o è un numero dispari. Secondo questo argomento il termine intermedio dovrebbe poter esistere fra tutti gli enunciati contraddittori e quindi anche fra quelli che coinvolgono i contrari, come pari e dispari. 6) Il sesto argomento è ormai stato chiamato in causa più volte e non meno rilevante: se iniziamo a porre un intermedio fra due contraddittori allora potremmo porne due, tre e infine una intera infinita sfumatura di gradazioni in un regresso all’infinito che annullerebbe ogni possibilità di determinazione e quindi ogni gnoseologia. 7) Il settimo argomento è un po’ semplicistico: se ci fosse una terza possibilità, diversamente da quanto rileviamo dall’esperienza, allora in risposta alle domande dovrebbero esserci altre possibilità di risposta oltre a “sì” e “no”.
Negare questo principio per Aristotele significa incespicare in capziosità e paralogismi derivanti da una cattiva dottrina o problemi di linguaggio. Quando ci si trova in simili problematiche è d’aiuto, secondo consiglio di Aristotele, tornare ad analizzare la definizione della cosa in questione, così facendo dovrebbero sciogliersi molti nodi problematici, in realtà questa dovrebbe essere una regola fondamentale in filosofia. Secondo lo stagirita Eraclito il quale afferma che tutte le cose sono e insieme non sono, sono cioè in continuo ed inafferrabile divenire, ha ammesso secondo Aristotele che ogni cosa è vera negando il principio di non contraddizione. Al contrario Anassagora affermando la mescolanza originaria di ogni cosa ha immerso tutto nella impossibilità di determinazione, negando per Aristotele il principio del terzo escluso con la conseguenza di rendere falsa ogni proposizione.
Il capitolo 8 del libro 4 parte dall’ultima critica mossa a Eraclito nel capitolo precedente e riportata poco sopra. Aristotele porta vari argomenti contro Eraclito. Il primo sostiene che l’affermazione “tutto è vero e falso” è apertamente contraddittoria e viola gli enunciati che la formano cioè “tutto è vero” e “tutto è falso”. Chi sostiene disgiuntamente queste due proposizioni ritorna in contraddizione poiché chi sostiene che tutto è vero sostiene anche che è vero che “tutto è falso” ossia la sua contraddittoria; lo stesso per chi sostiene che tutto è falso la quale finisce per negare se stessa risultando che è falso dire che tutto è falso e ricadendo nel celebre paradosso del mentitore. Nonostante le critiche già mosse contro Eraclito nel libro primo della Metafisica e precisamente all’incorrettezza della sua dottrina, un altro argomento di Aristotele torna alla definizione di vero: “affermare ciò che è falso negare”, dalla quale consegue che affermazione e negazione non sono equivalenti. Ciò è una condizione necessaria anche del principio del terzo escluso e di quello di non contraddizione che implicano la non equivalenza dei contraddittori e l’assegnazione di vero e falso esclusivamente ad uno o all’altro di una coppia di contraddittori.
Nella seconda parte di quest’ultimo capitolo viene di nuovo analizzata la tesi secondo cui tutte le cose sono in quiete, che possiamo far risalire a Parmenide, e secondo questa tesi ogni cosa dovrebbe in assoluto mantenere il suo valore di verità senza mai cambiarlo, il che è contro il senso comune poiché è facile osservare come gli stati di cose mutino e si diano come oggetti sensibili degli oggetti transeunti. Se invece si sostiene il contrario e cioè che tutto è in movimento, come accade ad Eraclito, allora è facile vedere come vengano negati i principi eterni ed immutabili e le sostanze immobili sovrasensibili, mentre la loro necessità è già stata a più riprese sottolineata da Aristotele. La soluzione dello stagirita è ancora una volta capacità di discernimento e non relativismo, determinando con razionalità e secondo definizione, di volta in volta quali siano le cose da considerarsi in mutamento e quali da considerarsi immobili.