METAFISICA, LIBRO IV, capitolo 6: contro il relativismo di Protagora; continuazione
METAFISICA, LIBRO IV, capitolo 6: contro il relativismo di Protagora; continuazione
Nov 30Ripartiamo oggi dal capitolo 6 del libro 4 (Gamma) della Metafisica di Aristotele. Questo capitolo in parte riprende la fondazione del principio di non contraddizione e porta ulteriori approfondimenti rispondendo ai tentativi di confutazione di tale principio.
In primo luogo Aristotele, dopo aver espresso l’impossibilità di dimostrare il principio (vedi post precedenti) si richiama all’argomento dell’evidenza: il principio di non contraddizione si mostra nella sua autoevidenza poiché ogni tentativo di negarlo sfocia nell’insensatezza. Aristotele si rivolge quindi a coloro che vogliono negare tale principio per partito preso e espone quattro argomenti tesi a dimostrare l’insostenibilità di questa posizione.
Il primo argomento richiama in gioco il concetto dei termini relativi, cioè termini legati in modo inseparabile ad altri e che non esistono di per sé. Coloro che credono che ogni apparenza è vera fa di ogni cosa un qualcosa di relativo poiché, come abbiamo visto, l’apparenza cambia nel tempo e nello spazio per persone diverse e anche per lo stesso soggetto a cui appare. In definitiva se l’apparenza è vera e l’apparenza è qualcosa di completamente aleatorio allora cosa di potrà dire di sensato riguardo a questa? Secondo questo argomento i relativi devono essere relativi di un qualcosa in sé, nella visione di Aristotele infatti una proliferazione incontrollata di soli relativi è simile all’esperimento mentale dell’eliminazione dell’Uno nel Timeo di Platone che porta alla creazione di formazioni tumorali continuamente in moltiplicazione. Senza una determinazione fissa, cioè senza assiomi o principi, nessuna scienza ma anche nessuna conoscenza è possibile poiché non vi sono regole per creare determinazioni di qualsiasi tipo. In alternativa possiamo anche dire che se ogni regola è del tutto relativa e completamente sostituibile ad ogni altra senza nessuna scala di valori, pertinenza, coerenza, allora ogni cosa può assumere contemporaneamente ogni significato. Il ricorso all’evidenza da parte di Aristotele non è solo un argomento ad hoc, ma anche una soluzione che emerge dall’impossibilità di praticare strade differenti da questa.
Il secondo argomento apre ad un nugolo di problemi di fenomenologia della percezione, filosofia della mente e della scienza in generale ma non è meno interessante. Secondo Aristotele, l’apparenza deve apparire a un soggetto che la esperisce in un determinato tempo, in un determinato spazio, sotto un determinato aspetto e in un certo modo. Definita così, con i parametri appena specificati, per lo stagirita, ogni contraddizione scompare. Infatti se consideriamo singolarmente uno dei nostri sensi, ne consideriamo l’impressione che esperisce in un determinato lasso di tempo (puntuale) e ovviamente spazio (puntuale) e considerato sotto il medesimo profilo (ad esempio il caldo e il freddo al tatto) non può verificarsi che si presentino insieme i contraddittori. Non sono pochi i problemi di questa argomentazione ma è anche vero che, come suggerisce Aristotele, l’indeterminatezza e la confusione potrebbero insorgere da una interpolazione temporale che si fa riflettendo a posteriori su una moltitudine di dati sensibili esperiti in un lasso di tempo lungo e sotto differenti aspetti, con la pretesa di riconsiderarli poi come una percezione unitaria. Quindi percepire il caldo della stufa e il freddo del ghiaccio può solo significare che in differenti momenti, in luoghi diversi, oggetti differenti danno percezioni differenti, ma non che ogni cosa può essere indifferentemente calda e fredda perché io posso percepire entrambi.
Del terzo argomento avevamo in parte già parlato, se la realtà è relativa, allora è relativa a chi la percepisce e se il soggetto non esistesse allora nemmeno la realtà esisterebbe quindi delle due l’una: o l’avvento del soggetto porta con sé la realtà e quindi il soggetto fa da fondamento alla realtà e non è relativo, o se anche il soggetto è transeunte e relativo nel tempo e nello spazio, allora comunque deve esserci un fondamento per la realtà che altrimenti non esisterebbe. In ogni caso non può essere reale soltanto una moltitudine indeterminata di relativi infondati.
Arriviamo quindi al quarto argomento: ogni relativo deve essere unitario se, come ricorda Zanatta, è correlativo di un’altro relativo unitario a sua volta; cioè: deve esserci fra i due relativi una relazione di reciprocità. Ne risulta che l’uomo che opina sulle cose considerandole relative diviene un relativo rispetto alle cose, ma se gli oggetti più svariati nella loro diversità sono correlativi all’uomo che li opina, allora anche l’uomo è correlativo di una moltitudine di oggetti differenti. Ne scaturisce il completo relativismo infatti ancora una volta una singola cosa significherebbe una inconcepibile moltitudine di cose differenti e quindi in definitiva alcunché di comprensibile o determinato.
Alla fine di questi argomenti Aristotele propone una sintesi dei punti saldi emersi sin qui: non si possono considerare vere nel medesimo tempo le enunciazioni contrarie; negando ciò si ricade in uno degli errori emersi nella fondazione del principio di non contraddizione; i contrari inoltre non possono presentarsi contemporaneamente (il ghiaccio non può essere contemporaneamente caldo e freddo) ma solamente per due aspetti differenti (ad esempio il ghiaccio formato dall’acqua è caldo rispetto all’idrogeno liquido) o uno per un aspetto particolare e l’altro in modo assoluto (il ghiaccio a zero gradi è assolutamente freddo per il tatto del corpo umano ma è caldo rispetto all’immergersi nell’idrogeno liquido).