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ARISTOTELE: METAFISICA, LIBRO A; PARTE 1

ARISTOTELE: METAFISICA, LIBRO A; PARTE 1

Dic 12

Il libro “A” della Metafisica è un buon luogo dove farsi male se lo si vuol spiegare, infatti è talmente denso di rimandi da poterci perdere molte molte pagine. E lo si è fatto in vari volumi, fra questi vi cito quello su cui ho studiato io il primo anno dell’università: “Il libro primo della Metafisica” di Aristotele, scritto da C. Rossitto ed E. Berti. In alternativa vi sono le note fatte da Zanatta, secondo l’edizione che utilizzo io, o quelle più classiche di G. Reale secondo l’edizione da lui curata della Metafisica. Il libro primo è a sua volta diviso in capitoli, che non rispecchiano una originaria divisione del testo aristotelico, ma una semplificazione a nostro uso, una nostra suddivisione per argomenti. Vi sono inoltre indicazioni testuali sulla numerazione originale delle righe, che io per il momento non utilizzerò per brevità, limitandomi per questo libro “A” a riferirmi ai capitoli perché sono brevi e chi volesse cercare la citazione in questione può agilmente andare a trovare il capitolo in questione e leggerselo. Più avanti in capitoli molto lunghi utilizzerò anche la numerazione delle righe dove lo troverò opportuno. Per chi non ne fosse a conoscenza, il simbolo “[…]” significa che è stata omessa da me una parte di testo che non ritenevo importante nella citazione, mentre il simboli “<” e “>” racchiudono parole che il curatore della traduzione ha ritenuto importante aggiungere per favorire la comprensione della traduzione, mentre non sono letterariamente presenti nel testo greco. Mentre il testo racchiuso fra parentesi quadre si riferisce a delle mie precisazioni sul testo di Aristotele, utili anche queste a facilitarne la lettura, in nessun modo mirate a correggerlo. Analizziamo quindi il primo capitolo del libro A, sottotitolato (per nostra semplificazione): “La conoscenza causale e la sapienza”. Con grande ritardo arrivo solo adesso a leggere la Metafisica in modo approfondito, mea culpa! La lettura di Aristotele è senza dubbio affascinante perché è densa di nozioni e perché contiene in nuce molti luoghi teoretici imprescindibili al filosofo. Certo meglio di tutto sarebbe la lettura direttamente in greco antico, ma noi ci faremo bastare anche quella tradotta in italiano. Sarebbe bello anche discutere ogni passo, ma non c’è spazio e non c’è tempo; quindi mi soffermerò solo su alcuni passi e per il resto cercherò di fare una specie di riassuntino abbastanza didattico. Quello che vorrei consigliarvi è che se avete tempo e voglia, leggere Aristotele è bello, e questo mio bignami che inizio adesso non è altro che un invito alla lettura di Aristotele, o almeno un assaggio per chi non avesse il tempo di dedicarsi a questa laboriosa forma di piacere. Mi sembra di essere colto da un onore insostenibile (perché ripenso ai miei primi anni all’università) quando vi cito la prima frase del libro:

Tutti gli uomini desiderano sapere. Ne è prova l’amore delle sensazioni: e infatti le amano di per se stesse, indipendentemente dall’utilità […]

Stiamo parlando di “sapienza” e non di “filosofia”, si fa risalire il libro “A” al periodo accademico di Aristotele, poi il termine “sapienza” diventerà “filosofia”. Vi è fra l’altro anche un uso più pratico di questi due termini, è più naturale che Aristotele inizi con la ricerca della sapienza e la sua definizione e solo poi nei libri successivi, descriva come la sapienza è filosofia in senso tecnico.

Ora, mentre gli animali vivono di rappresentazioni e di ricordi, ma partecipano poco all’esperienza, il genere degli uomini vive anche di arte e di calcoli. E l’esperienza deriva agli uomini dal ricordo: ché molti ricordi della stessa cosa producono la facoltà di una unica esperienza. E sembra che l’esperienza sia pressoché simile alla scienza e all’arte, ma la scienza e l’arte giungono agli uomini per via dell’esperienza. […] L’arte si origina quando da molte cognizioni dell’esperienza si origina una sola nozione universale intorno a casi simili. […] Il motivo è che l’esperienza è conoscenza delle cose individuali, mentre l’arte <è conoscenza> degli universali, e tutte le azioni e le generazioni gravitano nell’ambito dell’individuale.

Cominciamo ad intuire la potenza della frase iniziale della Metafisica nel modo in cui Aristotele descrive il processo della conoscenza. Chi legge il testo si accorgerà di come il filosofo utilizzi molti esempi che sono introdotti da espressioni come: “si dice”, “diciamo che”, “si concorda che”; questi sono esempi presi dal pensiero comune cioè “endoxa”, termine che letteralmente significa proprio questo: cioè opinioni radicate, il cui contrario è infatti “paradoxa” o meglio paradossale, cioè contro l’opinione comune. Gli esempi di Aristotele sono quindi spesso presi dalla vita di tutti i giorni. Ciò caratterizza un carattere metodologico della filosofia (invero già presente in Platone e nei suoi dialoghi socratici) molto importante e cioè il partire da definizioni o rappresentazioni del senso comune, vagliarle con strumenti prettamente filosofici, estrarne una definizione più precisa, contestualizzata e critica, una definizione tecnica. O come in questo caso partire da conoscenze fumose e stabilire uno schema preciso a proposito di un argomento. Lo schema aristotelico in questa citazione è il seguente: Aristotele delinea le fasi del conoscere secondo una progressione dove la forma successiva è superiore alla forma di conoscenza precedente. 1) In primo luogo vi è la sensazione, e fra le sensazioni la prima è la vista, poi l’udito, queste le nostre due più importanti fonti di conoscenza in primo luogo. L’uomo condivide questa facoltà con gli animali, anche se già Aristotele comprende che non tutti gli animali condividono gli stessi sensi dell’uomo. 2) Il ricordo, cioè l’accumulo di sensazioni registrate nella memoria, cioè un insieme di sensazioni non più presenti. Questa facoltà accomuna l’uomo con alcuni animali superiori. 3) L’esperienza, che proceda da un accumulo di ricordi di uno stesso tipo. Gli animali, secondo Aristotele, vivono di sensazioni e di ricordi e partecipano poco dell’esperienza (ma vi partecipano, perché Aristotele fra le altre cose aveva svolto studi di etologia, aveva quindi osservato come certi animali riescano a produrre comportamenti complessi per svolgere attività, possiamo ricordare l’utilizzo di rudimentali utensili da parte dei primati, l’abilità di lasciare cadere sulle rocce le ossa dei cadaveri per sbriciolarle e poterle ingoiare da parte di alcuni avvoltoi e così via). 4) L’arte e la scienza, per il momento ancora accomunate in un unico livello, esse partendo dall’esperienza ne delineano col ragionamento i caratteri universali. Sia l’arte e la scienza che l’esperienza all’atto pratico hanno lo stesso risultato, ma con differenze sostanziali, Aristotele infatti scrive:

Ma tuttavia noi pensiamo che il conoscere e l’intendersi [cioè l’essere considerati degli intenditori di qualcosa] appartengano di più all’arte che all’esperienza, riteniamo che gli esperti delle arti siano più sapienti degli empirici [di coloro i quali conoscono solo per esperienza ma non per scienza], in base alla convinzione che a tutti la sapienza consegue maggiormente in corrispondenza del conoscere, e questo perché gli uni conoscono la causa, gli altri no. Infatti gli empirici conoscono «che», ma non conoscono «perché», mentre gli altri [coloro che posseggono la scienza oltre all’esperienza] conoscono «perché», ossia la causa.

Alla prossima!

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