Temi e protagonisti della filosofia

I protagonisti dell’argomentazione

I protagonisti dell’argomentazione

Lug 20

Una delle tesi ricorrenti su FilosofiaBlog sostiene che filosofare è argomentare o, cosa in una certa misura equivalente, che la filosofia è argomentazione. Dunque è probabile che le caratteristiche proprie della seconda attività (alcune delle quali abbiamo già esaminato) appartengano anche alla prima. Ebbene, quali sono questi ulteriori caratteri, di cui la filosofia godrebbe in virtù del suo essere un’attività argomentativa?

È oggetto di questa teoria [dell’argomentazione] lo studio delle tecniche discorsive atte a provocare o accrescere l’adesione delle menti alle tesi che vengono presentate al loro assenso.

In questo passaggio del loro Trattato dell’argomentazione (p. 6), C. Perelman e L. Olbrecths-Tyteca accennano sinteticamente ad alcuni caratteri dell’argomentazione che, proseguendo nel testo e integrandoli con altri, considereranno in modo più analitico. Qui ne evidenziamo solo due:

  • presenza di un uditorio;
  • tendenza all’accordo.

Tralasciamo per ora il secondo carattere, già approfondito discutendo la teoria della pragma-dialettica, e concentriamoci brevemente sulla presenza di un uditorio. Gli autori del Trattato sono molto chiari su questo punto (p. 7):

Ogni argomentazione si sviluppa in funzione di un uditorio.

Laddove con ‘uditorio’ intendono (p. 21):

l’insieme di coloro sui quali l’oratore vuole influire per mezzo delle sue argomentazioni.

E con ‘oratore’ si riferiscono a (p. 9):

colui che la presenta [l’argomentazione] indipendentemente dal fatto che la presentazione avvenga oralmente o per iscritto, e senza distinguere tra discorso formale ed espressione frammentaria del pensiero.

Gli attori di un’attività argomentativa – i suoi “protagonisti” – sono due: l’oratore e l’uditorio. Può capitare che i ruoli siano reversibili, ossia che, durante lo svolgimento dell’argomentazione, l’oratore diventi uditorio e l’uditorio divenga oratore, come avviene, per esempio, nel caso di un dialogo, di una discussione, di un dibattito; oppure può succedere che entrambi i ruoli siano ricoperti da una e una sola persona, come nel monologo “privato” o “interiore”, cioè davanti a se stesso.

Indipendentemente dai possibili scambi di ruoli, l’idea del Trattato è piuttosto chiara: non può darsi argomentazione senza qualcuno che la svolga e qualcuno a cui è diretta. In particolare, chi argomenta – l’oratore – lo fa sempre davanti a un uditorio (o almeno avendo in mente qualcuno a cui rivolgersi). Scrivono gli autori del Trattato (p. 21):

Ogni oratore pensa, in modo più o meno cosciente, a coloro che egli cerca di persuadere e che costituiscono l’uditorio al quale i suoi discorsi sono rivolti.

Se non dobbiamo raffigurare l’oratore solo come colui che si rivolge parlando ad alcuni ascoltatori (poiché egli può essere anche uno scrittore il cui pubblico è composto di lettori), non dobbiamo nemmeno immaginare l’uditorio come una folla tumultuosa assiepata in una piazza, a cui l’oratore si rivolge da un palco o da un poggiolo. Certo, esiste anche questa specie d’uditorio, ma si tratta di un caso del tutto particolare che, forse, non è nemmeno il più frequente.

Finora è stato sufficiente evidenziare che ogni attività argomentativa (filosofia compresa) intrattiene una relazione necessaria con qualcuno che ascolta o legge. Nel prosieguo vedremo sia quali tipi di uditorio sono discussi dagli autori del Trattato, sia quale rapporto dovrebbe legare l’oratore al suo uditorio affinché egli possa sperare che gli argomenti proposti abbiano successo.

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