Temi e protagonisti della filosofia

Fare filosofia è argomentare (3)

Fare filosofia è argomentare (3)

Mar 15

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Articolo precedente: Fare filosofia è argomentare (2)

 

La storia del pensiero filosofico può essere vista sia come un pacifico avvicendarsi di teorie nel tempo sia come un’incessante controversia. A contrassegnare la storia del pensiero filosofico è la diversità, la contrarietà, la contrapposizione, lo scontro; in una parola il polemos: polemos tra i vari filosofi e polemos tra filosofi e società.

Ma, anche quando si scontra, un filosofo in genere è un pensatore individualista, solitario e monologico:

Talvolta si pensa alla filosofia come a una perpetua discussione nei termini di una “razionalità comunicativa”, o di una “conversazione democratica universale”. Niente è meno esatto, e quando un filosofo ne critica un altro lo fa a partire da problemi e su un piano che non erano quelli dell’altro… La filosofia ha orrore delle discussioni, ha sempre altro da fare. Non sopporta il dibattito, ma non perché sia troppo sicura di sé; al contrario, sono le sue incertezze che la spingono verso altre e più solitarie vie. [1]

C’è una differenza essenziale tra un modo di cercare la verità (e di fare filosofia) che prevede un solo attore ed un modo che ne prevede più d’uno.

Se sul teatro filosofico si introducono almeno due attori, le cose cambiano, radicalmente e auspicabilmente in meglio. Un commediografo irridente come Aristofane può mettere in scena un Socrate, Pensatore Solitario, librato e assorto nel suo cesto-pensatoio. Platone ci rappresenta invece un Socrate dialogante o polemizzante, propositore e oppositore.

Le teorie esposte nei trattati filosofici moderni e contemporanei, nei saggi, nelle Summae sono in genere il risultato della riflessione e delle elucubrazioni di un singolo pensatore, che nel chiuso della sua torre e in perfetto isolamento ha elaborato le sue conclusioni, senza confrontarsi con degli interlocutori che avanzassero le loro obiezioni, replicassero o fornissero il loro assenso alle conclusioni. La maggior parte dei filosofi, come denuncia Else Barth, sono, o almeno erano, caratterizzati da un atteggiamento, più o meno dichiaratamente, “monologico” ed egocentrico:

Il Pensatore – o la Mente pensante – al singolare era l’unico attore nel teatro filosofico. C’era un unico ruolo logico-epistemologico da interpretare. [2]

Perché la persistente tradizione solipsistica lasci posto ad un processo di dialogo, perché cioè la logica diventi più dialogica, dialettica, ritorni ad essere un’attività di dialogo critico, come avveniva nella Grecia antica e come esemplificato, ad esempio, dai dialoghi platonici, bisognerebbe introdurre almeno un secondo personaggio accanto al pensatore singolo, che svolga il ruolo di antagonista o di deuteroagonista, di semplice interlocutore o di oppositore; con ciò suscitando l’eccitazione della battaglia, il gusto del confronto o il piacere del duetto.

 

Note

[1] Gilles Deleuze e Felix Guattari, Che cos’è la filosofia, Einaudi, Torino, 1996, p. 19.

[2] E.M. Barth, Toward a praxis-oriented theory of argumentation, in M. Dascal (ed.), Dialogue. An interdisciplinary approach, John Benjamins, Amsterdam e Philadelphia, 1985, p. 74.

 

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1 comment

  1. Davide

    Buongiorno professor Cattani,le porgo una domanda. Come può esistere un atteggiamento solipsistico ? Il mondo comunque non è di per se un continuo stimolo al dubbio? Come può una persona o un filosofo sottrarsi al dubbio o alla contrapposizione, a uno stimolo esterno? Un saggio come può essere il risultato di un “atteggiamento monologico”? Comunque dovrebbe essere il risultato di uno stimolo mentale sempre derivante da un confronto o una polemica; come può esistere un modo di fare filosofia che preveda un solo attore?

    La ringrazio.

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