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Platone, Apologia di Socrate (12)

Platone, Apologia di Socrate (12)

Ott 29

 

 

Brano precedente: Platone, Apologia di Socrate (11)

 

[35e] Che io non mi scomponga, o uomini d’Atene, per questo [36a] avvenimento, cioè per il fatto che mi avete condannato (1), mi avviene per diverse e molte ragioni, e questo avvenimento non è avvenuto inaspettatamente per me, ma mi stupisco molto di più del numero di voti venuto dall’una e dall’altra parte. Infatti io non pensavo che ci sarebbe stato uno scarto per così poco, ma per molto di più; adesso invece, come sembra, se soli trenta voti fossero caduti dall’altra parte, allora sarei stato assolto. Quanto a Meleto, quindi, come mi sembra, anche così adesso son stato assolto, e non solo son stato assolto, ma ad ognuno è chiaro questo, ecco, che, se non fossero intervenuti Anito e Licone ad accusarmi, allora [36b] avrebbe pure dovuto pagare mille dracme, non avendo raccolto la quinta parte dei voti (2).

Quindi quest’uomo domanda per me la pena di morte. E sia; io, or dunque, che cosa vi domanderò a mia volta, o uomini d’Atene? Ciò che merito, non è forse chiaro? Che cosa quindi? Che cosa sono meritevole di patire e pagare, giacché ho avuto in mente di non starmene tranquillo nella vita, ma, trascurando le cose delle quali si curano i più (ricchezza e gestione della casa e cariche militari e discorsi pubblici e le altre cariche e congiure e rivoluzioni che si generano nella città), ritenendo [36c] me stesso realmente troppo specchiato per salvarmi avendoci adito, non andavo là dove, una volta recatomi, non sarei stato per niente utile né a voi né a me stesso; invece, coll’obiettivo di beneficare ciascuno con la massima beneficienza andando da lui in privato, come io affermo, andavo là, tentando di persuadere ciascuno di voi a non prendersi cura né di alcuna delle sue cose prima di essersi preso cura di se stesso, così da essere il migliore ed il più saggio possibile, né di quelle della città prima che della città stessa, [36d] ed a prendersi cura così, allo stesso modo, delle altre ‒ che cosa quindi sono meritevole di patire, essendo tale? Un premio, o uomini d’Atene, se si deve, ecco, domandare in verità secondo il merito; e, oltre a questo, ecco, un premio tale da esser appropriato per me. Che cosa quindi è appropriato per un uomo povero, benefattore, bisognoso di tempo libero agibile coll’obiettivo di esortarvi? Non c’è alcunché di maggiormente, o uomini d’Atene, appropriato che mantenere un tal uomo nel Pritaneo (3), molto più, ecco, che farlo per chi di voi abbia vinto alle Olimpiadi a cavallo o colla biga o colla quadriga: egli infatti vi fa sembrare felici, io invece esserlo, ed egli [36e] non ha alcun bisogno di mantenimento, io invece ne ho bisogno. Se quindi io devo [37a] domandare quel che merito secondo il giusto, domando questo, il mantenimento nel Pritaneo.

 

Note

(1) Qui Socrate riprende a parlare dopo la proclamazione della sua condanna. In queste circostanze era concesso al condannato di proporre ai giudici una pena alternativa.

(2) Se i voti di condanna non raggiungevano un quinto del totale, colui che aveva presentato l’accusa scritta veniva multato. Socrate qui scherza: divide per tre i voti contro di lui e ne desume che Anito da solo non avrebbe raggiunto la soglia.

(3) L’edificio ateniese più prestigioso in cui si potesse risiedere: vi potevano essere mantenuti a spese pubbliche solo i cittadini più insigni, in particolare i vincitori olimpici. La richiesta di Socrate appare esagerata, almeno dal punto di vista delle circostanze esteriori, ed urtante: i giudici intesero che se fossero passati dalla condanna a morte all’estremo opposto avrebbero dimostrato la propria inconsistenza intellettuale e morale.

 

Brano seguente: Platone, Apologia di Socrate (13)

 

 


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