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Islam: Dio e l’uomo (2)

Islam: Dio e l’uomo (2)

Mag 01

 

Articolo precedente: Islam: Dio e l’uomo (1)

 

2. I Pilastri dell’Islam e la Sharì’a

L’atto di fede del credente nei confronti di Dio, suo Signore, è testimoniato da uno dei pilastri dell’Islam, la Shahāda, la professione di fede musulmana che è composta da due versetti del Corano [1]. Essa recita:

Lā ilāh illā Allāh wa Muhammad rasūl Allāh

cioè:

Non c’è altro Dio se non Iddio e Muhammad è l’Inviato di Dio.

La Shahāda, oltretutto, diventerà prezioso oggetto di esegesi e commentari da parte di intere generazioni di pensatori musulmani (religiosi, teologi, filosofi, sufi, mistici ecc.).

Questa testimonianza di fede, recitata dal nuovo fedele di fronte a dei testimoni, consente l’ingresso “ufficiale” nella comunità islamica [2], ed essa è perfettamente sufficiente a determinare un intero atteggiamento interiore ed esteriore del fedele, a prescindere dal grado di intelligenza di quest’ultimo, dalla classe sociale di nascita o di appartenenza, dalla razza (quindi dal “colore della pelle”) ecc.

Notiamo l’attestazione del puro monoteismo che naturalmente scaturisce dalla prima parte della Shahāda e che stabilisce l’assoluta unicità e trascendenza di Dio su tutte le cose create, mentre la seconda parte riguarda specificamente la figura del profeta Muhammad come Inviato da Dio in qualità di profeta che rivela il Dīn, ed esempio umano [3] di equilibrio tra razionale – come capo e iniziatore di una comunità/società – e l’irrazionale – in qualità di Profeta che parla con l’angelo di Dio e che a causa di questa “mistica” Rivelazione è chiamato ad assumere uno specifico compito divino oltre che umano [4].

L’adesione all’Islam, come conseguenza di “aver reso” testimonianza della Shahāda, determina l’accettazione della Sharī’a [5] che è la “legge divinainsieme di norme religiose, sociali e umane che scaturiscono dalla stessa religione profetica e che determinano anche le azioni quotidiane del fedele musulmano.

La Sharī’a si è sviluppata all’inizio dell’Islam in modo da rendere “utilizzabili” per la “comunità dei credenti” gli insegnamenti coranici e del Profeta; essa è quindi l’opinione costruita dal “consenso della comunità islamica” (Igmā) a partire dagli insegnamenti del Corano, dall’imitazione del Comportamento e dalle Parole del Profeta (Hadith) che la tradizione aveva tramandato e raccolto. L’Igmā è quindi un “accordo” fra esperti in materia di legge a proposito di detti o eventi del Profeta o sulle varie interpretazioni che gli stessi dottori possono dare per alcuni versi del Corano ecc.

Dopo aver introdotto la nozione di Igmā è necessario accennare al significato del termine Qiyās (Analogia). Esso è un procedimento razionale o analogico [6] per determinare nuove questioni di giurisprudenza religiosa o per stabilire leggi o pronunciarsi su aspetti non contemplati dalla tradizione (Sunna). Sia Igmā che Qiyās sono strettamente legate alle funzioni che svolgono gli Ulamā come autorità in materia di giurisprudenza religiosa (Fiqh).

I doveri del credente, necessari per seguire rettamente la Legge Divina (Sharī’a), vengono dettati dalla scuola di Legge (Madhhab) che di fatto stabilisce le regole religiose che il musulmano e l’intera comunità devono seguire per essere “aderenti” al vero spirito dell’Islam. In questo senso, la scuola religiosa (Madhhab) si configura come interprete accreditato dalla tradizione per l’insegnamento della giurisprudenza (Fiqh).

È importante sottolineare che non esiste nell’Islam un’istituzione che si possa paragonare alla Chiesa, con il proprio magistero dogmatico, con l’autorità del suo Pontefice e i vari Concili capaci di definire i vari dogmi della religione. Esiste però quella gerarchia “ecclesiastica” degli ulamā, con le varie scuole religiose (Madhāhib plurale di Madhhab) di cui abbiamo accennato sopra, ed esiste l’Imām (Guida) che è il capo religioso della propria comunità [7] e che generalmente dirige le preghiere e svolge compiti religiosi. Inoltre ricordiamo che nell’Islam non esiste il sacerdozio, che invece è tipico delle comunità cristiane, e ogni fedele musulmano può così aspirare a diventare la guida della propria comunità o semplicemente a partecipare attivamente alla vita religiosa e sociale della comunità di appartenenza.

La Shahāda, che apre al credente le porte della Religione [8], è il primo pilastro dell’Islam (Arkān), e come abbiamo precedentemente riferito, è il più importante precetto.

Il secondo pilastro è la Preghiera detta Sālat, che si riferisce alla preghiera legale che si compie, nell’arco della giornata, in cinque precisi momenti. È prevista una “purificazione rituale” (Tahāra), ottenuta con abluzioni di vario tipo, indispensabile per il corretto adempimento della preghiera. C’è anche la libera preghiera del cuore (Du’ā), ma essa non è obbligatoria come la Sālat, mentre la si può considerare valevole di meriti e raccomandata.

Il terzo pilastro dell’Islam è l’Elemosina rituale o decima (Zakāt) che è anche un’elemosina legale e che serve per aiutare i più deboli.

Il quarto pilastro è il Digiuno (Sawn) che è strettamente osservato nel mese di Ramadān, il mese nel quale, secondo la tradizione, il Corano discese sulla Terra sotto la forma della Rivelazione Muhammadica.

Il quinto pilastro è il Pellegrinaggio (Hagg) alla Mecca che ogni buon musulmano sano e adulto dovrebbe compiere almeno una volta nella vita.

 

Note:

[1] Le due parti della Shadaha sono originariamente due versetti di due diversi “capitoli” del Corano: la prima parte, “Lā ilāh illā Allāh” si riferisce al versetto 35 della Sura 37; mentre la seconda, “Muhammad rasūl Allāh” è riferita al versetto 29 della Sura 48.

[2] La formula di “professione di fede” sciita aggiunge il cugino e genero del Profeta ‘Alī alla Shahada: “a alīyyun walīyyu Allāh” – che traduciamo “E Alī è il Wali (amico/vicario) di Dio”.

[3] Ricordiamo che per la religione islamica Muhammad è un uomo scelto da Dio e non ha una natura Divina come quella del Cristo, per esempio.

[4] Il profeta Muhammad diventa un perfetto esempio di equilibrio tra le necessità umane collettive che possiamo definire “pratico-razionali” e quelle individuali intese come “creativo-spirituali”.

[5] Letteralmente “strada battuta”, come “sentiero sicuro che conduce a Dio”.

[6] Tuttavia sempre inteso entro il contesto della rivelazione profetica come fondamento della Shar’ia.

[7] Nell’Iran sciita invece la figura dell’Imam è quella di supremo capo infallibile della Umma sciita.

[8] La parola Islam si può tradurre anche con la parola “religione” che di per sé implica la completa sottomissione a Dio e al suo Logos, che è il Corano.

 

Bibliografia

  • B. Scarcia Amoretti, Il mondo musulmano: Quindici secoli di storia, Carocci Editore
  • Carmela Baffioni, Filosofia e Religione in Islam, NIS editore
  • Sergio Noja, L’Islam dell’espansione, Mondadori
  • Cruz Hernández Miguel, Storia del pensiero nel mondo islamico. Vol. 1: Dalle origini al XII secolo in Oriente, Editore Paideia
  • Guillame (a cura di), The Life of Muhammad, Oxford Edition
  • Sayyd Abul A’la Mawdudi, Towards understanding Islam, U.k.i.m Dawah Center
  • Seyyed Hossein Nasr, Ideali e realtà dell’Islam, Rusconi editore
  • Juan E. Campo, Encyclopedia of Islam, Gordon Melton, Series Editor

 

 


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