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[Incipit] Philía e inizio (5)

[Incipit] Philía e inizio (5)

Mar 25

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5. Philótes come propensione alla conciliazione e all’alleanza

Facciamo un passo indietro e torniamo a una più antica concretezza di attestazioni e di pratiche. Torniamo a Omero, dove l’uso di φιλότης è frequente e già composito. Secondo Karavites, che ha dedicato molta attenzione allo studio di questa nozione [1] e che qui seguiamo, questo termine designava in origine non un sentimento di amicizia, ma un più circospetto e residuale atteggiamento di conciliatorietà.

In particolare, philótēs indicava la buona disposizione conciliatoria preliminare alla negoziazione di un accordo da parte di due o più contraenti in causa. Una disposizione perciò non così accomodante come il nostro “amicizia”, una disposizione che peraltro interviene nel dirimere una controversia o nella gestione di una disputa. Troviamo philótēs occorrere là dove bisogna trovare una concordanza ed evitare una lite, forse una guerra.

Fossero stati aristocratici implicati in pubbliche beghe d’onore, litiganti in contenzioso o capi militari impegnati nella risoluzione di delicate trattative per la gestione dei conflitti, comunque costoro dovevano essere ben animati da philótēs perché si potesse raggiungere un’intesa, un accordo o un armistizio che fosse pacifico e duraturo. Dunque, lungi dal qualificare in origine chissà quale nobiltà tra spiriti affini, philótēs designava una semplice conciliatorietà compromissoria, uno stato di non belligeranza vagamente incline alla cooperazione. Per fare un esempio, il troiano Paride e l’acheo Menelao, di fronti opposti, tentarono un duello risolutivo animati da φιλότης (Il. III, 67-73). Ma anche senza scomodare l’Iliade, si può affermare che l’ambito di prima attestazione di questo vocabolo fu comunque quello militare.

Un termine corrispettivo a quello ellenico esisteva già nei linguaggi diplomatici dei regni vicino-orientali, un termine tecnico-contrattuale che significava “fraternità”, “fratellanza” per stipula. Una fraternità stabilita tra coloro che non si possono né eliminare né ignorare, ma che si possono giovare delle reciproche forze, che possono anzi diventare vicendevolmente necessarie. I signatari di un tale patto di fraternità (come ad esempio furono il faraone Ramses II e il re ittita Hattulisis III nel 1280 a.C.) estendevano ipso facto a tutti i propri sottoposti la pacificazione, e così anche a tutte le generazioni a venire per mandato ereditario. Inoltre i signatari, per estensione, acquisivano i rispettivi alleati, allargando così la propria rete dei sodali; al tempo stesso, però, anche i nemici degli alleati divenivano tali per quanti con lealtà avevano sottoscritto il patto di coalizione (o foedus, come lo chiameranno i latini).

A seguito di un attrito o di un conflitto non altrimenti risolvibile, si sanciva un’alleanza tra capi e rispettive tribù, clan, lignaggi, popoli di appartenenza, ecc. Il comune appellativo di “fratello” (phílos qui nel senso di “compagno d’arme” o “commilitone”) veniva utilizzato non solo tra alleati di pari rango, ma anche tra poteri subordinati, come anche attestazioni mesopotamiche ci confermano, e spesso veniva rimarcato attraverso ingenti scambi di doni, tesi continuamente a suggellare l’affiancamento o il protettorato. Anche solenni giuramenti, pubblici gesti di intesa, banchetti cerimoniali o matrimoni tra casate potevano fungere da garanzia e stipula rituale del legame di fratellanza, che aveva valore giuridico e internazionale.

Scriveva Benveniste:

La philótēs è messa sullo stesso piano di hórkia, “giuramento”, è un rapporto di gruppo, consacrato da un atto solenne. Questo vocabolario è quello che si usa per concludere dei patti suggellati da un sacrificio. La philótēs appare come una ‘amicizia’ di tipo ben definito, che impegna e che comporta degli obblighi reciproci, con giuramenti e sacrifici […] È questo accordo che prende la parola philótēs: atto preciso che lega l’uno all’altro i due contraenti. Ma è anche evidente che l’impegno prende una forma consacrata. Comporta lo scambio di armi e di doni. Abbiamo cioè lo scenario di un tipo di scambio noto che conferisce solennità al patto. […] In questo contesto istituzionale si chiarisce anche l’accezionedel verbo phileîn come ‘baciare’ (cfr. greco moderno philô: ‘baciare’) che determina il senso esclusivo del sostantivo derivato phílema ‘il bacio’ […] Questo suggello reciproco comporta o ingenera una certa forma di sentimento che diventa obbligato tra i compartecipi della philótēs. [2]

Il mancato ricorso a questa formula convenzionale, qualora offerta, veniva recepito come un’aperta dichiarazione di ostilità, dalle conseguenze di grave e lungo corso, perché il rifiuto o la rottura del legame di fratellanza veniva ritenuta un’offesa molto più grave che il tradimento di una generica, malriposta fiducia. È evidente che, con questi presupposti, ai membri di una fratellanza non rimanesse molto margine per poter sviluppare in libertà un’amicizia, per lo meno non un’amicizia come la possiamo intendere noi oggi. Anche perché spesso la conciliazione avveniva tra due lontani xénia, tra due estraneità destinate a rimanere tali, o comunque, stranieri costretti a divenire fratelli per forza, fratelli per necessità di bilanciamento di forze, ma che di fatto non parlavano nemmeno la stessa lingua. In questo senso, il concetto greco arcaico di philótēs dovette rappresentare una notevole evoluzione [3], significando talora quasi benevolenza, o più ancora, propensione all’accordo, all’armistizio.

Karavites nel suo studio giustamente insiste molto sul significato di questa evoluzione del concetto – ne traduciamo qui i rilievi salienti:

Sebbene il concetto di φιλότης riflettesse uno speciale legame di amicizia tra gli eroi omerici, questo non era limitato a quel senso di “fratellanza” quale il significato del corrispettivo termine del Vicino Oriente sembra invece essere stato. Philótēs sembra un concetto più profondo, con una grande varietà di possibili sfumature. Com’è chiaro dall’Iliade, può riferirsi all’atto della frequentazione o del corteggiamento, atto che naturalmente presuppone della benevolenza tra i due individui coinvolti, come pure può essere riferito a una nuova amicizia fatta tra due persone, come conseguenza di diverse possibili circostanze – una su tutte, quella dell’ospitalità,in tali occasioni il termine philótēs veniva usato per sottolineare i sentimenti amichevoli e le relazioni reciproche. […] Quindi il concetto greco di philótēs andò presto ben oltre il qualificare il rispetto formale attraverso obblighi specifici per le parti coinvolte. Fu più che il mero ottemperare il minimo sufficiente di regole necessarie, quali obblighi morali declinati spesso al negativo. Qualificò invece un canone di comportamenti positivo e robustoin merito a come ci si dovesse sentire e disporre qualora si fosse dovuto sostenere un compagno/a in difficoltà: da qui philótēs acquisì le connotazioni ausiliarie di gentilezza, pietà, prontezza e spirito d abnegazione anche per i propri doveri, tanto da arrivare ad implicare che nel pericolo si mettesse a rischio anche del proprio per la reciproca salvezza. [4]

Possiamo chiosare con il proclama dello Zarathustra: «C’è il cameratismo: possa esserci l’amicizia!».

Fu questa un’enorme evoluzione concettuale innanzitutto perché essere xeníē non escluse più la philótēs, come il celebre incontro tra Glauco e Diomede in battaglia ci conferma: l’un l’altro stranieri, si riscoprono entrambi “cari” perché legati da antecedenti patti di ospitalità delle rispettive famiglie destinati a essere onorati per sempre, tanto da dover essere rinnovati anche in mezzo al furore della battaglia in corso. Anche se su fronti opposti, la legge della φιλότης è più forte della legge della πολεμία o belligeranza, e a quella ereditaria benevolenza innanzitutto dev’essere accordata la priorità, anche in caso di conflitto. Nota Karavites:

Xeníē e philótēs non indicano relazioni mutualmente esclusive o radicalmente differenti; al contrario nel mondo descritto dall’Iliade le due relazioni sembrano molto simili l’una all’altra [5];

e così anche Curi:

Per restare al caso della società omerica, il rapporto di amicizia (philótēs – phílos – philía) è innanzitutto quello che caratterizza la relazione con gli xénoi, cioè con gli ospiti stranieri che, in quanto privi di diritti, protezione e mezzi di sussistenza, trovano accoglienza e garanzie entro la comunità. [6]

Uno degli esempi più emblematici è quello del modo in cui il naufrago Ulisse venne prodigamente accolto alla corte del re Alcinoo. Scrive sempre Karavites:

Una manifestazione di amicizia (φιλότης) per Odisseo fu mostrata dal feacio Alcinoo, che intratteneva Odisseo nel suo palazzo, profondendogli doni con cuore generoso. Alcinoo considerò Odisseo a sé molto caro, ed ebbe ogni riguardo per la loro neostipulata amicizia e considerò il piacere conseguente come migliore anche di qualsiasi relazione fra fratelli. In questa relazione “più che fraterna” allora è inteso il significato di philótēs. […] Alcinoo ammette che per il bene di Odisseo, suo caro amico e ospite onorato, ogni cosa è stata preparata, la sua partenza, e i doni di amicizia, che Alcinoo e i suoi nobili compagni diedero dal profondo del loro cuore (philía dôra, tà oi dídomen philéontes). Solo poco prima, Odisseo era arrivato come uno straniero ed era stato accolto con sospetto di ostilità e circospezione. Ora riparte come amico del cuore [7]

tanta è la potenza di φιλότης.

A discapito comunque di una troppo rigida differenziazione concettuale, bisogna dire che in altri contesti di occorrenza φιλότης mantiene anche una certa componente erotica. Nel XIV libro dell’Iliade, la dea Era chiede ad Afrodite di aumentare la sua philótēs (il suo “charm” o, potremmo dire, il suo “appeal”) al fine di poter essere più seducente agli occhi del suo olimpico congiunto: in tal senso questa caratteristica travalica l’ambito marziale e/o ospitale ed estende il proprio dominio alla sfera di Afrodite, dea che ne può volentieri fare concessione ed elargirla come arma di seduzione [8]. Ma questi ambiti non sono mai netti: Scrive Rabel:

Philótēs similmente al verbo misgô ‘mi congiungo’, ha un ampio spettro di connotazioni sociali, erotiche e marziali. Può designare varie relazioni sociali e personali, come l’amicizia ospitale o semplicemente amore o affezione. Poi, in un contesto erotico, si può riferire all’atto del fare l’amore, mentre in guerra philótēs designa l’amicizia che porta pace tra i nemici sui campi di battaglia. [9]

 

Note:

[1] P. Karavites, cit.

[2] É. Benveniste, cit., p. 263-265.

[3] «Philótēs implica una transizione da un precedente stato di cose negativo a uno positivo. Qualora la situazione avesse riguardato un’associazione politica o sociale tra due persone, famiglie o gruppi, allora in quel caso un nuovo legame positivo tra i due partiti veniva sancito. Così, philótēs poteva cambiare la posizione delle parti da uno stato di ostilità ad uno nuovo di esplicita e duratura amicizia». P. Karavites, cit., p. 54.

[4] P. Karavites, cit., selezioni da pp. 52-55.

[5] P. Karavites, cit., p. 53.

[6] U. Curi, Straniero, Raffaello Cortina Ed., Milano, 2010, p. 68.

[7] P. Karavites, cit., pp. 55-56.

[8] Alcuni interpreti non hanno dubbi sul fatto che anche φιλότης avesse una valenza erotico-afrodisiaca, indicando in modo poetico l’attrattività sessuale. Cfr. C.A. Faraone, Ancient Greek Love Magic, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1999, pg. 97 e n. 2; B. Breitenberg, Aphrodite and Eros. The Development of Erotic Mythology in Early Greek Poetry and Cult, Routledge, London, 2007, in particolare: Cap. I, «Aphrodite: The Historical Background».

[9] R.J. Rabel, Plot and Point of View in the Iliad, University of Michigan Press, Ann Arbor, 1997, p. 78.

 

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