Temi e protagonisti della filosofia

Arriano, Manuale di Epitteto (8)

Arriano, Manuale di Epitteto (8)

Feb 26

Brano precedente: Arriano, Manuale di Epitteto (7)

 

33. Prefiggiti, ordunque, un determinato carattere e modello, che custodirai sia nelle occasioni in cui sei tra te e te sia in quelle in cui incontri le persone. [2] E sii per lo più silenzioso o parla lo stretto necessario e per poco. Dunque, quanto al prendere la parola, parla raramente, allorquando il momento lo reclama, ma mai su argomenti casuali: non sui giochi gladiatori, non sulle corse dei cavalli, non sugli atleti, non su pietanze o bevande, non su quegli argomenti di cui si parla ogni volta, e soprattutto non sugli uomini, biasimando o lodando o comparando. [3] Quindi, se ne sei in grado, agisci con le tue parole per condurre anche quelle di coloro che sono con te verso l’opportuno. Se, invece, t’imbatti in persone di tutt’altra specie, taci. [4] Non essere molto ridanciano, non ridere né su molte cose né esagerando. [5] Rifiuta il giuramento, se possibile semplicemente in tutto, sennò per quel che è possibile negli eventi. [6] Evita di banchettare con persone estranee alla filosofia e comuni; se, invece, qualche volta si genererà questa occasione, l’attenzione ti sia intenta a non defluire nel contegno comune. Vedi, ecco, che, se il compare è sporco, è necessario che anche colui che si struscia con lui si sporchi, per pulito ch’egli possa essere. [7] Le cose pertinenti al corpo (come cibo, bevande, abito, casa, domestici) prendile sinché ce n’è esigenza; cancella invece tutto assieme quel che è relativo all’apparenza od al lusso. [8] Per quel che concerne il sesso, per quanto possibile prima del matrimonio va conservata la castità; invece copulando bisogna partecipare nei limiti di ciò ch’è lecito. Comunque non divenire pesante né perentorio verso coloro che ne fan uso, né riferire più e più volte che tu non ne fai uso. [9] Se quanlcuno ti dichiara che un tale parla male di te, non replicare a quelle parole, ma rispondi: «poiché ignorava, ecco, gli altri mali presenti in me… perciò allora ha parlato di questi soli». [10] Recarsi molto agli spettacoli non è necessario. Se tuttavia qualche volta si è in questo frangente, dimostra che studi nient’altro che te stesso, cioè: desidera che avvenga solo quel che sta avvenendo e che vinca solo colui che sta vincendo; così, ecco, non sarai impedito. Dunque astieniti totalmente dal gridare, dall’irridere chiunque o dall’eccitarti troppo, e, dopo esserti allontanato, non dialogare su quel ch’è avvenuto, se non per quanto afferisce al tuo indirizzamento: ecco, da tale comportamente traspare che hai ammirato lo spettacolo. [11] Non recarti alle letture pubbliche di qualcuno né senza costrutto né con faciloneria; recatoti ad esse, dunque, custodisci il decoro e la stabilità, e simultaneamente la mancanza di pesantezza affettata. [12] Quando bisogna che t’incontri con qualcuno, soprattutto tra quelli annoverati nella classe superiore, prospettati che avrebbero mai fatto in quel frangente Socrate o Zenone, e non avrai impasse a comportarti convenientemente per l’accadimento in cui ti sei imbattuto. [13] Quando frequenti qualcuno di molto potente, prospetta che non lo troverai in casa, che ti chiuderà fuori, che le porte ti saran sbattute in faccia, che non penserà a te. Se anche con tutto questo devi andare, essendo andato sopporta gli avvenimenti e non dire mai a te stesso ciò: «non era il caso»: ciò è da uomo comune, ecco, e duellante con le cose esterne. [14] Nelle chiacchierate astieniti dal rammentare più volte e senza misura le tue stesse opere o quello che hai rischiato: ecco, come per te è soave rammentare quello che tu hai rischiato, così per gli altri non è soave ascoltare quel che ti è avvenuto. [15] Astieniti dunque anche dal muovere al riso: ecco, questo modo di fare fa scivolare verso quello dell’uomo comune e simultaneamente basta a far rigettare il rispetto verso di te di coloro che ti son accanto. [16] È malsicuro, inoltre, trascendere verso un linguaggio osceno. Quando quindi avviene qualcosa di tal sorta, se il momento è buono, rimprovera pure colui che ha trasceso; se invece non è buono, fai divenire chiaro che disapprovi il discorso, ecco, col tacere e coll’arrossire e coll’incupirti.

 

Traduzione latina di Angelo Poliziano (1479)

XXXVIII. OFFICIA ERGA NOS IPSOS, AC DE IIS PRIMO QUAE AD MORUM CONSTANTIAM FACIUNT QUAEVE EAM IMPEDIUNT, ET DE SERMONE IN PRIMIS AC SILENTIO.

[33, 1] Statue tibi ipsi formulam quandam ac regulam, quam deinceps serves et cum tecum ipse es et cum in homines incidis. [33, 2] Silentium sit plurimum. Loquere necessaria et paucis et raro, aut quandoque, cum te ad aliquid dicendum tempus vocat, dic quidem, sed non de quavis re, non de gladiatorum pugna, non de cursu equorum, non de athletis, non de epulis vel poculis singulatim; maxime vero omnium non de hominibus, vituperans aut laudans aut cum ceteris iudicans. [33, 3] Si igitur possis, demuta eorum sermones, qui tecum sint, in id quod deceat. Quod si inter extraneos te deprehensum videas, tace.

XXXIX. DE RISU.

[33, 4] Risus neque multus sit neque ob multa neque solutus.

XL. DE IUREIURANDO.

[33, 5] Iusiurandum refuge, si possis; si minus, cum licet.

XLI. ADVERSUS CUPIDITATEM, AC PRIMO DE CONVIVIIS.

[33, 6] Convivia cum extraneis ac vulgaribus respue. Quod si quando tempus incidat, intentum habe animum ne in vulgarem statum defluas. Scias enim necessarium esse qui cum inquinato conflictetur et ipsum inquinari.

XLII. DE EORUM QUAE AD CORPUS PERTINEANT USU.

[33, 7] Quod ad corpus attinet, ad purum usque usum sume, velut cibum, potum, vestem, domum. Quod autem ad gulam aut delicias pertinet penitus circumscribe.

XLIII. DE RE VENEREA.

[33, 8] Circa rem veneream, quantum in nobis sit, ante nuptias pure agendum est. Quod si cogimur, quae tamen sunt legitima assumenda. Ne sis tamen molestus utentibus, neque redargutor, neve saepius obice te non uti.

XLIV. ADVERSUS IRACUNDIAM, ET QUALES NOS ERGA DETRACTORES PRAEBEAMUS.

[33, 9] Si quis ad te deferat: «ille de te male dicit», ne excusa quae dicantur, sed responde: «ignorat ille et alia quae mihi adsunt mala, alioquin non sola haec diceret».

XLV. DE SPECTACULORUM CUPIDITATE.

[33, 10] Ad theatra saepe accedere necessarium non est. Quod si quando tempus incidat, cave ne cuiquam magis studere videaris quam tibi: velis, quae fiunt, ita fieri ut fiunt; ‹eum tantummodo vincere qui victor fuit.› [Simpl. p. 119, 29-31] Status autem ne sit gravis, sed constans cum quadam laetitia. [33, 10] Egressus spectaculo, multa de iis quae facta sint ne disputa, quando ad te corrigendum non faciunt, neque de omnibus sermonibus qui dicti sint.

XLVI. DE AUSCULTATIONUM CUPIDITATE.

[33, 11] Ad recitantes ne accede neque his vel raro intersis. Quod si intersis gravitatem constantiamque ita serva, ut molestia vaces.

XLVII. DE CONGRESSU CUM POTENTIORIBUS.

[33, 12] Congressurus cum aliquo, et eorum praesertim qui potentiores videntur, praepone tibi quid in hoc fecisset Socrates aut Zeno, neque dubitabis quo te pacto gerere oporteat.

XLVIII. QUOMODO PRAEPARARE NOS DEBEAMUS POTENTIOREM ADITURI.

[33, 13] Cum aditurus quempiam eorum es qui magna possunt, praepone tibi ipsi fore ut non admittaris intro ad eum, ut excludaris, ut tibi fores non pateant, ut te ille negligat. Tum cogita, an cum iis eum adire expediat; ubi adieris, fer quae fiunt. Neque tu tecum dicas unquam: «talia non merebar». Vulgare enim est quae extrinsecus sunt calumniari.

IL. DE CONGRESSIBUS CUM PLURIBUS.

[33, 14] In congressibus absit ut de tuis aut operibus aut periculis nimium atque immodice memineris. Non enim, quemad-modum tibi de tuis periculis meminisse, ita et aliis quae tibi acciderint audire est iucundum. [33, 15] Absit etiam ut risum moveas: ‹est enim res vulgaris et nescio quo modo ducit ad vilitatem, et haec una venerationem›, qua te prosequantur qui adsint, remittere potest. [33, 16] Nonnunquam vero et in sermonis obscoenitatem trahit: quod si quando incidat, tum, si res et tempus fert, obscoenitate utentem increpa; sin minus, at saltem taciturnitate et rubore ostende eum te sermonem ferre iniquo animo.

 

Traduzione italiana di Giacomo Leopardi (1825)

Stabilisci a te stesso, come a dire, un carattere e una figura la quale tu abbi a mantenere da quindi innanzi sì praticando teco stesso e sì comunicando colle persone.

Tacciasi il più del tempo, o dicasi quel tanto che la necessità richiede, con brevità. Solo qualche rara volta, confortandovici il tempo e il luogo, discendasi a favellare distesamente; ma non di cotali materie trite e ordinarie, non di gladiatori o di corse di cavalli, non di atleti, non di cibi nè di bevande, nè di sì fatti altri particolari di che si ode a favellar tutto il dì, e sopra ogni cosa, non di persona alcuna lodando o vituperando o facendo comparazioni.

Fa, se tu puoi, di raddirizzare e ridurre al convenevole i ragionamenti dei compagni.

Se tu ti ritroverai solo tra persone aliene dalla filosofia, tienti senza far motto.

Poche risa, e non grandi, e non di molte materie.

Non prender mai giuramento, se tu potrai; se no, il più di rado che tu possa.

Schifa di trovarti a conviti di persone comunali e rimote dalla filosofia; e se ciò per alcuna occasione talvolta non si potrà schifare, ricorditi di star desto e attento più del consueto, che tu non trascorressi nei modi e costumi della comun gente. Imperocchè sappi che di necessità, se il compagno sarà lordo, e che tu gli praticherai dattorno, tu ti lorderai, ponghiamo che ora sii netto.

Le cose appartenenti al corpo, come dire il mangiare, il bere, il vestito, il tetto, la servitù, adoprinsi non più oltre che in quanto elle servono al puro uso. Tutto quel che è ad ostentazione o a delizia, taglisi via.

Innanzi alle nozze egli si vuole astenersi dai diletti carnali quanto si può, e usandogli pure alcuna volta, non si discostare in ciò dalle leggi. Ma tu non vorrai perciò riprendere e noiar con parole coloro che gli sogliono usare, e non istarai ad ogni poco a mettere in campo che tu non usi di così fatte voluttà.

Chi ti riportasse che il tale o il tal altro dicesse mal di te, non pigliare a scusarti e difenderti, ma rispondi che egli si vede bene che questi non ha contezza degli altri difetti che io ho, perocchè, sapendogli, ei non avrebbe tocco solamente questi.

A teatri non accade usar molto. Ma quando ti sarà nata occasione di trovarti in cotali luoghi, non dimostrar sollecitudine o pensiero di qualsivoglia altro che di te stesso, cioè non voler che avvenga se non quel medesimo che avverrà, nè che vinca altri che quegli a cui toccherà la vittoria; perocchè in tal modo non t’interverrà che il tuo desiderio abbia impedimento. Dal gridare, dal soverchio ridere sopra alcuna qual si sia persona o cosa, dal molto dimenarti e contorcerti, convienti astenere al tutto. E uscito che tu sarai di là, non andar troppo ragionando cogli altri dell’accaduto, se già non fosse di cose che potessero conferire a farti migliore. Perocchè tu faresti segno che lo spettacolo ti fosse oltre modo piaciuto.

Non andare alla udienza di certi dicitori, anzi schifa di trovarviti in ogni modo. Che se per ventura vi ti troverai, fa di serbare una contenenza grave e soda, e non però spiacevole nè superba.

Accadendoti di dover venire a qualche ragionamento o pratica con chicchessia, e specialmente con alcuno di quelli che sono reputati soprastare agli altri, proponti dinanzi agli occhi quello che avrebbe fatto in tale occorrenza o Socrate o Zenone; e tu non sei per mancare del modo di portarti convenientemente in ogni caso.

Andando a trovare alcuno dei potenti, mettiti nell’animo che tu non sei per trovarlo a casa, ch’egli si sarà serrato dentro, che non ti sarà voluto aprir l’uscio, che colui non ti darà mente. E se con tutto questo, per non mancar dell’officio tuo, ti conviene andare, pórtati in pace ogni cosa che t’intervenga, e non dir mai fra te stesso: egli non portava il pregio; che è un parlar da uomo ordinario e dato tutto quanto alle cose esterne.

Guarda bene nei cerchi e nelle compagnie, che tu non istéssi a far troppe parole intorno ad azioni fatte o a pericoli sostenuti da te medesimo. Perciocchè non siccome egli piace a ciascuno di raccontare i propri pericoli, così riesce dilettevole alle persone l’udir le avventure di chi favella.

Non istare anco a studiarti di muovere il riso; perchè ciò facendo, si porta pericolo di trascorrere ai modi e alla usanza dei più; oltre che di leggeri avverrebbe che i circostanti rimetterebbono più o manco della loro riverenza verso di te.

Egli è medesimamente pericoloso lo entrare in ragionamenti di cose oscene: e per tanto ove ciò intervenga, se egli ci avrà luogo, tu sgriderai quel tale che sarà entrato in così fatta materia; se no, col porti a stare in silenzio e collo arrossire e fare il viso brusco, tu darai ad intendere che quel cotal favellare ti spiaccia.

 

Brano seguente: Arriano, Manuale di Epitteto (9)

 

 


Ti è piaciuto il post? Dona a Filosofia Blog!

Cliccando sul pulsante qui sotto puoi donare a Filosofia Blog una piccola cifra, anche solo 2 euro, pagando in modo sicuro e senza commissioni. Così facendo contribuirai a mantenere i costi vivi di Filosofia Blog. Il servizio di donazioni si appoggia sul circuito il più diffuso e sicuro metodo di pagamento online, usato da più di 150 milioni di persone. Per poter effettuare la donazione non è necessario avere un account Paypal, basta avere una qualsiasi carta di credito o Postepay. Grazie!

Leave a Reply