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Realismo e funzionalismo nella filosofia di Putnam (2)

Realismo e funzionalismo nella filosofia di Putnam (2)

Feb 07

Articolo precedente: Realismo e funzionalismo nella filosofia di Putnam (1)

1.2 Realismo interno e “i cervelli in vasca”

A partire dalla metà degli anni Settanta, in particolare dall’ultima parte di Meaning and the Moral Sciences (1978) e ancor più da Models and Reality (1977) e Reason, Truth and History (1981), Putnam gradualmente abbandona il realismo metafisico e abbraccia una posizione più pragmatica, che lui stesso definisce realismo interno. Il mondo, con la sua descrizione, non esiste più indipendentemente dalla mente, ma esiste solo attraverso gli strumenti che usiamo per conoscerlo; quindi il punto di vista non è più esterno ma è interno alle nostre teorie. L’ontologia viene ora a essere determinata in base a una teoria che noi assumiamo sulla costituzione del mondo.

L’idea di un mondo “in sé”, composto da determinati oggetti, viene meno perché siamo noi uomini a dividerlo in oggetti, relazioni, proprietà, etc., in base ai nostri scopi e valori. Il mondo, anche se può causalmente essere indipendente dalla mente umana, non lo è ontologicamente, in quanto la sua struttura viene a essere funzione degli schemi concettuali umani.

Secondo Putnam, il primo filosofo nel quale può essere rintracciata una posizione simile al suo realismo interno è Immanuel Kant e la sua idea della dipendenza della conoscenza del mondo dalle nostre categorie del pensiero. Kant, infatti, ha postulato che la conoscenza del mondo sia possibile solo entro i limiti dell’esperienza, quindi le “cose in sé” non sono oggetti possibili di conoscenza:

Possiamo infatti riconoscere non la cosa in sé, ma sempre la cosa in quanto rappresentata. La rappresentazione è il prodotto congiunto della nostra interazione con il mondo esterno e della capacità attiva della mente; quindi il mondo come noi lo conosciamo porta in sé l’impronta della nostra attività concettuale. (Kant, 1787)

Quindi non basta la coerenza interna alle nostre teorie, ma queste ultime devono anche rispondere all’esperienza. Nel frattempo si devono anche ammettere più descrizioni vere del mondo, nel senso che, non solo tali descrizioni sono formulazioni linguistiche differenti, ma anche nel senso che gli oggetti che esse descrivono sono diversi, poiché sono proprio tali formulazioni a specificare i “fatti” di cui si sta parlando. Possiamo, dunque, dire che ci sono fatti da scoprire solo dopo aver adottato un modo di parlare, un linguaggio, uno schema concettuale.

Putnam recide, quindi, qualsiasi legame con il realismo metafisico e con il trascendente, proponendo un’immagine demistificatrice della realtà e dei fatti della vita: noi parliamo del mondo e possiamo conoscerlo sempre tramite le nostre teorie; non esiste un mondo “là fuori” che sia indipendente dalla nostra mente o dalle nostre teorie.

La prospettiva del realismo metafisico contemplava il mondo come costituito da una totalità di oggetti fissi e indipendenti dalla mente umana, in quanto “funzionali all’occhio di Dio”. A questo orizzonte rigidamente organizzato, Putnam contrappone una prospettiva di relazionalità, di corrispondenza tra le parole, i segni, il pensiero umano e le cose esterne, gli oggetti del mondo.

Con il realismo interno, definito da Putnam “realismo dal volto umano”, egli prende le distanze da assunti dogmatici e immutabili, relazionandosi con i paradigmi teorici che rendono propriamente umana l’esistenza, l’umanamente possibile.

La sua più nota critica al realismo metafisico è il famoso esperimento mentale dei “cervelli in vasca”, esposto in Reason, Truth and History. In esso immagina un mondo in cui tutti i cervelli, rimossi dai corpi e posti in una vasca piena di liquido nutritivo, abbiano le terminazione nervose e i neuroni collegati a un enorme e sofisticato supercomputer, in grado di fornire loro gli stessi impulsi elettrici che normalmente ricevono quando sono nel corpo di una persona. Questo supercomputer simulerebbe la realtà normale, fornendo ai cervelli l’impressione di vivere esattamente tutte le esperienze della nostra quotidiana coscienza, stimolando le stesse risposte, senza che vi sia un’effettiva relazione a eventi e oggetti del mondo concreto.

Da un punto di vista scettico, l’argomento vuole dimostrare che un cervello in una vasca non è in grado di stabilire se effettivamente è nella vasca, in quanto tutte le esperienze che ha sono genuine, ossia ciò che percepisce sono esattamente gli stessi impulsi che riceverebbe se fosse nel corpo umano, e tutte queste sensazioni e i pensieri che esse stimolano sono l’unico modo che ha di interagire con l’ambiente, che risulta del tutto identico all’ambiente reale sperimentato da un normale cervello nel cranio di un corpo umano. Di conseguenza, per lo scettico non si riesce a stabilire se le nostre credenze corrispondano a verità e, quindi, se le nostre asserzioni parlino effettivamente di noi e del mondo esterno.

Ma, per Putnam, le cose non stanno così e la coerenza dell’intero esperimento è vacillante. Un cervello nato in una vasca non potrebbe propriamente pensare alla sua condizione, tanto meno parlarne; se dicesse «io sono un cervello in una vasca» affermerebbe sempre e necessariamente il falso. Dalla loro prospettiva, il concetto di realtà è assai ristretto non potendo avere pensieri, né di negazione né di validazione, sul mondo vero, poiché non lo hanno mai sperimentato; al più avranno un surrogato di mondo, composto da stimolazioni provenienti dal supercomputer.

Il punto risiede quindi nella teoria causale del riferimento che Putnam adotta, la quale ci vieta di credere al fatto che determinate rappresentazioni mentali si riferiscano in ogni caso a specifiche cose esterne, la cui configurazione è del tutto indipendente dalla nostra mente. (Sacchetto 2002, p. 1304)

Quindi, i riferimenti dei termini usati dai cervelli in vasca sono diversi da quelli dei cervelli normali, cosicché le espressioni pronunciate dai primi, che esistono in una realtà strutturale diversa da quella dei secondi, hanno significati diversi. Per cui l’esperimento mentale si autoconfuta.

In una delle sue ultime interviste, alla domanda di Piergiorgio Odiffredi, cioè se trovasse ancora soddisfacente questo argomento antiscettico, Putnam risponde:

Se fossimo cervelli in una vasca, attaccati a un computer, il nostro mondo esterno sarebbe un’illusione e ogni nostra affermazione su di esso sarebbe falsa. In particolare lo sarebbe anche quella che dice che siamo cervelli nella vasca, che invece è vera. Io sono ancora soddisfatto di questo argomento ma alcuni critici non ne sono ancora convinti. (Putnam 2001)

 

Bibliografia

  • Kant, I. (1787), Kritik der reinen Vernunft, in G. Gentile e G. Lombardo (trad. it) (2005), Critica della ragion pura, Bari-Roma: Laterza.
  • Putnam, H. (2001), Filosofia e barricate. Intervista a Hilary Putnam, a cura di P. Odifreddi, La Repubblica, 6 settembre 2001.
  • Sacchetto, M. (2002), Putnam: logica, filosofia del linguaggio e riflessione etica (pp. 1297‐1306), in  G. Fornero e S. Tassinari (a cura di), Le filosofie del Novecento, Milano: Bruno Mondadori.

 

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